Il calcio specchio della società civile

L’esonero di Spalletti e le tristi vicende della nostra Nazionale hanno rilanciato il tema della crisi del calcio italiano che rispecchia quella di un paese cronicamente incapace di programmare il proprio futuro. La verità è che l’Italia non sarà mai un paese per giovani ed è per questo che una cariatide di 85 anni come Franco Carraro non esiti a ricandidarsi alla presidenza del Coni, eternamente presidiato dai soliti noti: c’è poco da fare, Coni e Figc costituiscono una vera e propria gerontocrazia che per brama di potere non accetterà mai di passare la mano. Occorre ammettere che siamo davanti ad una crisi di sistema imputabile ad un establishment vecchio e malato, incapace di capire che il calcio italiano non può continuare a galleggiare tra debiti, artifici contabili e collusioni politiche. Da decenni, ormai, la bellezza dell’evento agonistico è diventata la foglia di fico di un moloch abitato da fameliche falangi di lestofanti e di faccendieri che non sanno nulla di calcio. Inutile nasconderlo, come accade in politica, anche il calcio italiano manca di visione e progettualità.

Avvicinare i giovani al calcio non significa più, come una volta, “toglierli dalla strada”. Significa ben altro. Oggi i ragazzi più talentuosi preferiscono il calcio a 5 che si gioca al coperto e senza necessità di allenarsi (nella migliore delle ipotesi optano per il calcio a 7). Anche per questa ragione, in tutti i campionati continua ad aumentare la percentuale di calciatori stranieri (in Serie A, 384 giocatori su 569 sono stranieri). Spesso si tratta di giocatori di modesta caratura tecnica, importati da procuratori rapaci e senza scrupoli, abili nel collocarli in società che non vogliono o non possono investire nei vivai. Senza l’innesto di tanti giocatori stranieri, probabilmente il calcio italiano sarebbe saltato da tempo, come dimostrano i vergognosi rovesci della nostra Nazionale.

Occorre, pertanto, investire sui vivai, assumere istruttori competenti e riportare sul campo i ragazzi collaborando anche con le scuole. Di contro, nel nostro paese i vivai sono spesso utilizzati per creare plusvalenze e “confezionare” i bilanci con il tacito avallo degli organi di controllo e, finanche, del sistema bancario che suole perdonare al calcio ciò che non perdona al cittadino. In questo senso, il calcio è la metafora del paese e della psicologia collettiva di un popolo refrattario alle regole. Come avviene nella vita reale, il calcio continua a elargire compensi da capogiro ad una pluralità indefinita di soggetti che, a vario titolo, gravitano attorno ad un sistema che si regge sul debito e sulla opacità dei bilanci, delle operazioni di mercato, delle false fatturazioni, delle “esterovestizioni”. Diritti televisivi e sponsorizzazioni sono diventati i veri polmoni finanziari del calcio che, solo in minima parte, viene alimentato dagli incassi e dagli abbonamenti.

Il calcio italiano ha saputo inventarsi un equilibrio che riproduce perfettamente quello della società civile: per affermarsi non occorre competenza e professionalità, servono relazioni, conoscenze e una buona dose di servilismo. Gli ultimi, clamorosi insuccessi delle squadre di club e della Nazionale hanno confermato che, sul piano internazionale, il nostro calcio non è più competitivo. Non è un caso. Le partite dei nostri campionati sono lente, noiose, di scarso livello agonistico e qualitativo. I nostri allenatori sono avvezzi al tatticismo esasperato e, fin dalle giovanili, la tecnica e la fantasia vengono sacrificate sull’altare della disciplina tattica. Perfino in giovane età, si punta alla specializzazione a scapito dell’eclettismo. Assegnare un ruolo ad un giovane calciatore significa riprodurre nel calcio quanto avviene nella società: il banco fisso a scuola, il posto fisso nel lavoro. Nulla di più grottesco. Si tratta di abiti mentali che lo sport dovrebbe correggere educando i ragazzi alla duttilità e alla versatilità: saper ricoprire più ruoli significa abituarli alla curiosità e alla elasticità mentale, ingredienti che un giorno torneranno utili nella vita. Inutile nasconderlo, siamo un paese di vecchi e per vecchi. Per capire come siamo fatti, non ci vuole molto: basta vedere come funziona il calcio, religione civile degli italiani che, come diceva Churchill, “vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra”.

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