Alla fine di ogni anno scolastico l’opinione pubblica torna ad occuparsi della scuola italiana che versa in una crisi di identità senza precedenti. Occorre riconoscere che una scuola incapace di garantire la crescita culturale del cittadino sia da ritenersi inadempiente tanto quanto, in verità, lo sono le famiglie le quali hanno inconsapevolmente contribuito alla deriva educativa del paese per una serie di ragioni sulle quali sarebbe utile promuovere un grande confronto.
Vediamole. 1) Molti genitori sono iperprotettivi e assenti: probabilmente sono iperprotettivi proprio perché assenti. Gli spazi del dialogo tra genitori e figli sono diventati sempre più esigui, le conversazioni risultano spesso vacue o frammentarie, del tutto inefficaci sul piano educativo. 2) Negli ultimi anni abbiamo assistito all’esplosione delle certificazioni Dsa (Disturbi specifici di apprendimento) e Bes (Bisogni educativi speciali) alcune delle quali risultano poco attendibili: praticamente, un astuto espediente per carpire benefici in occasione delle verifiche.
3) Le iscrizioni ai “diplomifici” rappresentano la drammatica resa dei genitori al crescente disimpegno dei figli molti dei quali non ritengono affatto screditante “pagare” il diploma senza la fatica di conquistarlo. 4) Alcuni genitori amano definirsi “amici” dei propri figli ma questo significa abdicare al ruolo di educatori. Per questa ragione l’educazione è stata demandata alla scuola che, col tempo, ha visto svilire la funzione intellettuale dei docenti ai quali, oltre ad una sconsolante burocratizzazione del proprio lavoro, è stato imposto di inventarsi psicologi, vigilantes e, talora, finanche poliziotti. Evidentemente abbiamo dimenticato un vecchio assioma: la famiglia educa, la scuola istruisce.
5) L’uso smodato del cellulare rappresenta la conseguenza dell’uso smodato della tv. In questo senso, sarebbe giusto ammettere che i genitori non possono rimproverare ai figli di essere schiavi del cellulare semplicemente perché loro lo sono stati del telecomando. 6) I genitori ignorano le attività serali e notturne dei figli i quali giocano alla play station fino a notte fonda, compulsano per ore i social e consumano disinvoltamente pornografia a gogò. 7) A proposito di pornografia: le inchieste raccontano che, a causa dell’accesso libero ai siti vietati ai minori, esiste una vera e propria emergenza che viene pudicamente rimossa dalla scuola e dalle famiglie che preferiscono glissare sull’argomento.
8) Alcuni genitori sono inclini ad assecondare le pretese dei figli nell’acquisto di beni costosi (vestiario, cellulari) perché temono di esserne ricattati con i prolungati silenzi e con l’isolamento domestico. 9) Il modello culturale dominante ha disegnato il profilo di una società narcisista in cui la competizione ha soppiantato la cooperazione: una società classista che, dopo avere cancellato la povertà, celebra incessantemente il denaro, il successo, la popolarità, il consenso che si misura attraverso “follower” e “like” sui social.
Per arginare gli effetti di questo modello, servirebbe una riforma radicale dell’istruzione che i genitori non hanno mai invocato perché, va detto, a loro interessa il titolo e non la preparazione dei figli.
10) Quando si legge che i ragazzi fanno fatica a comprendere un testo, dimentichiamo che, nel loro universo simbolico, il pensiero si esprime attraverso il corpo, assurto a mito feticista e a strumento esclusivo di interlocuzione con il mondo dei social nei quali le “amicizie” virtuali mitigano la tristezza della solitudine reale. In quest’ottica, il tatuaggio, il piercing, il “selfie”, sono la conseguenza di una spasmodica ricerca di legittimazione sociale perseguita attraverso una costante esibizione della vita privata. Da questo breve decalogo delle criticità che connotano il rapporto genitori-figli, discende l’indifferibile necessità di prendere atto del fallimento educativo della nostra società. Stiamo consegnando alle nuove generazioni un mondo triste, complicato e pieno di inquietudini. Partire da questa verità può aiutare a capire che i colpevoli siamo noi, non loro.
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