Siamo europeisti, ma anche nazionalisti

Una delle massime più celebri di Mao Zedong, rivoluzionario e padre della Repubblica popolare cinese, recita così: “la politica è guerra senza spargimento di sangue, la guerra è politica con spargimento di sangue”. In quest’ottica l’invasione dell’Ucraina rappresenta un atto politico di cui l’Europa stenta, ancora oggi, a cogliere le implicazioni.

I popoli europei hanno operato, da decenni, una sorta di rimozione della guerra che la coscienza collettiva ha derubricato a mera narrazione. L’ipotesi che la politica potesse annoverare anche quella del conflitto bellico sembrava un’astrazione. La globalizzazione e i trattati commerciali hanno incoraggiato l’illusione che il mercato potesse uniformare cultura e istituzioni di popoli diversi, ciascuno con una propria storia, una propria identità e una propria cultura.

Gli europei hanno sempre creduto nella forza del “dialogo” e della mediazione sul presupposto che la politica fosse l’unico luogo di composizione delle divergenze tra Stati. Dopo il crollo dell’Urss, la democrazia capitalistica è assurta a paradigma universale, a modello culturale che pareva destinato a plasmare la psicologia collettiva di tutti i popoli del pianeta. Così non è stato perché il capitalismo ha dimostrato di poter coesistere pacificamente sia con i sistemi democratici che con i regimi autoritari. Questa è la vera, grande colpa dell’Occidente, quella, cioè, di aver creduto che il mercato potesse permeare il mondo dei suoi valori.

L’invasione dell’Ucraina rappresenta il triste epilogo di questa Grande Illusione che si fonda sull’assunto che la globalizzazione potesse “democratizzare le dittature”. Si è trattato di un errore macroscopico che ha portato l’Occidente a sottovalutare la pericolosità di un personaggio come Vladimir Putin che rappresenta quella parte del mondo che non crede alla democrazia liberale, ritenuta incapace di preservare la sicurezza e l’identità delle nazioni, sempre più esposte al “pericolo” dell’immigrazione. L’avvento di Donald Trump alla presidenza Usa ha fatto da propellente alla diffusione di queste idee nefaste anche in Europa. Oggi gran parte dell’opinione pubblica europea attende con trepidazione la fine della guerra ucraina. Si tratta di uno stato d’animo che le forze populiste usano abilmente cavalcare con il pretesto che l’Ucraina non avrebbe più la forza per contrapporsi all’avanzata russa. In realtà, c’è altro.

C’è, soprattutto, l’ignavia dell’Occidente che, come dicevamo, è refrattario a qualunque ipotesi di conflitto, che rifiuta aprioristicamente la stessa nozione di “guerra” e che, per questa ragione, non intende più assecondare Zelensky e le richieste d’aiuto del popolo ucraino.

Il sogno della “pace perpetua”, candidamente vagheggiato dall’irenismo pacifista, rappresenta un elemento di debolezza su cui Putin ha già costruito molte delle sue fortune grazie all’inerzia imbelle degli occidentali (si pensi alle guerre in Cecenia, in Crimea, in Georgia). Questo, solo questo,è il vero motivo che spinge gli europei a caldeggiare la pace in Ucraina, perfino nelle forme caricaturali disegnate da Putin e Trump, questa “strana coppia” accomunata dal profondo disprezzo per l’Europa e dall’obiettivo di disarticolare l’Ue con il prezioso contributo delle forze sovraniste.

Occorre riconoscere che l’esito finale della guerra ucraina rappresenta per gli europei uno sgradito spartiacque. Le recenti esternazioni di Donald Trump confermano il declino dell’Alleanza atlantica che, piaccia o no, prelude alla inevitabile fine della Nato. Il dibattito sul riarmo e sulla necessità di garantire all’Europa una piena autonomia militare costituiscono un tema ineludibile che costringerà la politica a fare chiarezza. Finora siamo stati europeisti ma anche nazionalisti. Ci piacciono Putin e Trump, ma anche Netanyahu, Orbàn e Milei non sono male. Ma ci piacciono anche gli arabi perché comprano in contanti e sorridono sempre. Sembra una barzelletta ma si tratta del vero ritratto degli italiani, brava gente. 

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