Economia
Venerdì 12 Dicembre 2025
Sfida neuromarketing I segreti del cervello
Vincenzo Russo (IULM) indica gli strumenti avanzati per capire i meccanismi di emozione e memorizzazione La diffusione nella sanità e nelle assicurazioni, l’obiettivo di istruire l’AI a creare messaggi più etici
«Il nostro progetto, premiato da una delle più importanti associazioni di ranking universitarie al mondo, ha permesso di individuare quali sono le reazioni emotive dei consumatori di fronte a queste stimolazioni e soprattutto di individuare quelle che le aziende possono utilizzare poiché adeguatamente metabolizzate nell’immaginario collettivo». Vincenzo Russo dirige il Centro ricerca in neuromarketing “Behavior and Brain Lab” attivo da 18 anni in Università Iulm e che lo scorso 2 dicembre a Londra ha ricevuto ai QS Reimagine Education Awards 2025, fra 1600 progetti provenienti da università di tutto il mondo, il primo premio col progetto “Applying Neuroscience to Foster Critical Thinking on AI and Stereotypes”. Il progetto nasce sull’idea di Samsung di sensibilizzare gli studenti all’uso corretto di AI.
Professore, qual è per l’ateneo il significato del premio ricevuto a Londra?
Il premio è importante perché tale è anche l’associazione che ce lo ha assegnato, visto che rappresenta la seconda struttura mondiale che costruisce i ranking universitari.
Come opera il Centro ricerca di neuromarketing?
Operiamo con strumenti molto avanzati. Utilizziamo un elettroencefalogramma a 52 canali, e lo utilizziamo con gli studenti per far capire come funziona l’attrezzatura, possiamo dire che siamo quasi una mosca bianca dato che pochi usano strumenti così sofisticati. Utilizzare un 52 canali incrociandolo con strumenti quali battito cardiaco, sudorazione delle mani, respirazione, il rilevamento del movimento oculare, significa avere una macchina molto complicata data la presenza di molti strumenti che in modo sincronizzato ci danno la misura di ciò che accade nella fisiologia di una persona e, in questo caso, la misura diretta dell’emozione o della memorizzazione.
Come avviene l’incrocio con l’intelligenza artificiale?
Il nostro è un lavoro congiunto fra il Centro di Ricerca di Neuromarketing e chi produce immagini con l’intelligenza artificiale, in questo caso il laboratorio AI Lab, seguito dal professor Guido Di Fraia: misurazione neuroscientifica e incrocio con l’intelligenza artificiale sono funzionali all’obiettivo di andare a vedere la reazione emotiva delle persone alle immagini prodotte con l’AI, che generalmente sono molto stereotipiche, perché l’AI perché prende tutto ciò che c’è nel circuito. Abbiamo misurato il grado di reazione positiva o negativa di fronte alle immagini confrontandole con immagini naturali. Così abbiamo classificato le immagini prodotte dall’AI non solo in base al grado di stereotipia che producono ma anche in base al grado di reazione negativa: ciò è utile perché sempre più le aziende utilizzano immagini prodotte dall’AI.
Un esempio?
Se faccio un’indagine sul corridore più veloce al mondo e la faccio fra persone di colore ciò non stupisce, non si incorre in uno stereotipo perché loro in questi ultimi 20 anni hanno vinto tutto, che siano americani, sudafricani o congolesi. Se invece chiedo di produrre l’immagine di una donna in un ambiente e viene prodotta in cucina o mentre fa la spesa allora c’è una stereotipia talmente forte che può essere rifiutata dai consumatori. L’idea nel progetto è indicare alle aziende quali sono le immagini più o meno accettabili dall’immaginario collettivo creando un sistema di misurazione basato sulle evidenze neuroscientifiche. Ciò è piaciuto alla commissione sia per il processo in sé, cioè per l’interdisciplinarietà delle attività, ma anche perché abbiamo sensibilizzato gli studenti sul pericolo dell’uso dell’IA che tende a rinforzare gli stereotipi.
Si può istruire l’AI a non far leva sugli stereotipi?
Sì, è il passaggio successivo. Ora che sappiamo quali sono le immagini stereotipiche e come funziona il cervello umano, l’idea è insegnare all’AI a rispettare i due aspetti: da un lato andiamo su un’AI generativa, da creare ex novo e dall’altro su un’AI che produce messaggi coerenti con i limiti del nostro cervello: sempre più si parla di neuro AI. Il neuromarketing è importante anche per una conoscenza del cervello tale da permetterci di conoscere meglio gli strumenti: questa è la cosa più potente delle neuroscienze perché ci permette di capire i bias o gli errori che il nostro cervello commette diventando più facilmente soggetto alla persuasione. Un elemento che utilizzato a fin di bene porta a cose positive, ma è evidente che il tema etico diventa estremamente importante. Agli studenti facciamo capire proprio questo. Ecco perché lavoriamo con attenzione alla stereotipia e a come far sì che il risultato venga utilizzato al meglio dalle aziende e in modo sensibile ed etico da parte degli studenti.
C’è differenza fra neuromarketing e manipolazione?
Manipolare i consumatori è molto complicato, oggi più di ieri. Se il consumatore oggi è “collegato” a un prodotto cattivo prima o poi viene fuori e quando si rompe la fiducia non si riesce più a tornare indietro, come mostra il caso Chiara Ferragni. Tuttavia, se un prodotto cattivo rimane cattivo uno buono può essere percepito migliore. Lavorando molto nel mondo del vino faccio l’esempio dello champagne, percepito come miglior metodo classico al mondo. Ma se guardiamo le nostre bollicine a metodo classico nelle competizioni internazionali ultimamente il Trento Doc, fatto con la stessa metodologia dello champagne, ha vinto più medaglie dello champagne. Ma il Trento Doc non lo vendi tanto quanto lo champagne: i francesi hanno un prodotto molto buono che viene percepito migliore e noi abbiamo un prodotto migliore che viene percepito molto buono.
Le azienda fanno al loro interno formazione e aggiornamento professionale in neuromarketing?
La conoscenza del cervello si sta trasformando in percorsi formativi sia per i giovani sia per i collaboratori interni alle aziende, soprattutto per quelle aziende in cui per fortuna la dimensione relazionale si è scoperta essere fondamentale. E’ il caso dei settori banca-assicurazione e sanità. Stiamo facendo molti corsi di formazione in neuroselling perché conoscendo il funzionamento del cervello riusciamo a suggerire le migliori tecniche per creare fiducia. Gli assicuratori non vogliono più fare corsi su tecniche di vendita bensì su tecniche di consulenza e perciò sempre più spesso si parla di neuro advice. Idem per la sanità, che sta implementando sia le capacità manageriali ma anche quelle relazionali, tanto che sempre più si parla di medicina di comunità.
La conoscenza del cervello che diventa neuroselling serve non solo a formare i nostri studenti per migliorare le capacità relazionali anche per “vendersi” nel mercato, ma diventa materia importante per la formazione di chi crede nella relazione interpersonale.
Quali sono le aziende che più di altre utilizzano il neuromarketing?
Lavoriamo moltissimo col mondo del food, fortemente legato alla dimensione emotiva. Lavoriamo con i grandi e con i piccoli. I grandi ci chiedono di aiutarli a fare una buona comunicazione pubblicitaria. Lavoriamo anche con i piccoli, ad esempio con le cantine di vino che vogliono sapere se quel poco che possono investire viene investito bene.
C’è un utilizzo del neuromarketing nell’ingegneria sociale?
Mi sta chiedendo se in sostanza esiste la neuropolitica e la risposta è assolutamente sì, sul tema sto scrivendo un libro per Erickson. Non ci sono molti testi di neuropolitica non perché non se ne consideri l’esistenza ma perché crea timore dire che esiste. Le neuroscienze dimostrano che il nostro cervello funziona in modo automatizzato più di quanto siamo disposti ad ammettere con noi stessi. Ci reputiamo razionali e capaci di controllare: in realtà la parte più antica del nostro cervello ha un sistema di automazione molto potente per due obiettivi: farci sopravvivere e farci riprodurre, non ha razionalità. Quindi reagisce a immagini, colori, profumi in modo potente e istintivo. Ciò fa gioco alla propaganda soprattutto in un momento storico in cui ci sono due meccanismi perversi: la comunicazione digitale, visto che gli algoritmi funzionano in modo ricorsivo per cui, se ad esempio cerco qualcosa di positivo su Trump, mi verranno riproposte cose negative sul suo interlocutore in modo tale da radicalizzare le posizioni.
Qual è il secondo meccanismo perverso?
Sta nel fatto che, in generale, si legge e si studia sempre meno rispetto al passato e quindi si hanno minori capacità di interpretare la realtà.
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