«Un patto territoriale per i prodotti Dop»

Plinio Vanini, imprenditore dell’azienda Fiorida di Mantello, premiato alla Festa delle imprese lancia un monito per le piccole produzioni: «Rischiano di scomparire, insieme con storia, cultura e paesaggi»

Sondrio

«Delle eccellenze locali non si può solo parlare: bisogna renderle possibili. E per farlo servirebbe, innanzitutto, un patto territoriale che garantisca il consumo dei prodotti locali, unico vero presidio dell’identità delle nostre valli, e che porti le istanze della montagna all’attenzione dei legislatori».

Parte da questa doppia consapevolezza Plinio Vanini, imprenditore della Fiorida, l’azienda agricola e agriturismo di Mantello premiata con la menzione speciale alla” Festa delle imprese” di Sondrio per la sua attenzione alla sostenibilità, per lanciare un monito che è innanzitutto un allarme per il futuro dell’agricoltura di montagna.

Nella sala Martinelli della Camera di commercio il suo discorso ha assunto i toni di un’accusa diretta: «Le politiche europee, nella loro applicazione concreta, stanno progressivamente soffocando le piccole Dop e l’intero sistema agro-pastorale alpino». Una deriva che, secondo Vanini, non ha nulla di casuale.

«Le regole in vigore – spiega – favoriscono soltanto chi opera su larga scala, lasciando ai margini chi produce in quota, chi lavora con pochi capi, chi affronta costi strutturalmente più alti e una logistica ben più fragile».

Competere a mani legate Il quadro che esce è quello di un settore costretto a competere a mani legate. L’agricoltura estensiva francese, così come quella intensiva della Pianura Padana, possono contare su infrastrutture, risorse e strumenti incomparabili.

La montagna, al contrario, parte da uno svantaggio sistemico e strutturale, «figlia povera» di entrambi i modelli.

Senza regole differenziate e senza supporti mirati, avverte Vanini, non ci sarà alcun futuro per gli alpeggi.

A dimostrare la fragilità dell’intero sistema è il caso del Bitto, una delle Dop più identitarie del territorio. Le normative che si profilano all’orizzonte - se applicate senza alcuna distinzione territoriale - imporrebbero la pastorizzazione del latte anche negli alpeggi più remoti, dove raggiungere una malga richiede ore di cammino e dove l’energia elettrica rappresenta spesso una conquista. «Vedete voi se metteremo i pastorizzatori nei calecc» la provocazione di Vanini. Il paradosso è evidente: adeguarsi alle norme significherebbe snaturare il prodotto e, insieme ad esso, l’intero patrimonio culturale e operativo che lo rende unico; non adeguarsi, al contrario, significherebbe uscire dal mercato.

«Gli interessi enormi dei grandi si contrappongono a quelli dei piccoli determinando la creazione di regole che spingono la produzione verso la massificazione – incalza Vanini – emarginando tutto quello che resta fuori fino all’annullamento. Questa politica scellerata dice chiaramente che sopravvive solo chi è grande, solo chi può fare industria».

L’abbandono della montagna Con le piccole produzioni di montagna scompaiono infatti secoli di storia, di tradizioni, di paesaggi plasmati dal lavoro dell’uomo. «L’abbandono della montagna non è mai frutto di una decisione individuale ricorda Vanini -, ma la conseguenza diretta dell’assenza delle condizioni per restare».

Per invertire questa traiettoria non bastano più iniziative isolate o appelli episodici.

Serve, sostiene Vanini, una reazione collettiva, un vero patto della montagna che unisca produttori, associazioni, istituzioni e cittadini attorno alla difesa di un modello agricolo che non può essere valutato soltanto attraverso il fatturato, perché il suo valore abbraccia la cultura, la storia, le radici e l’equilibrio stesso del paesaggio.

Nodo decisivo è anche quello del consumo. Un prodotto esiste davvero solo se trova spazio nelle scelte alimentari del territorio che lo produce.

Per questo Vanini insiste sulla necessità di un patto territoriale che garantisca il consumo locale dei prodotti locali, condizione indispensabile per mantenere in vita le filiere identitarie delle valli alpine.

Qualcosa, riconosce, è stato fatto, ma in modo insufficiente e discontinuo. «Senza un impegno stabile e strutturale, nessuna eccellenza può sopravvivere, perché le eccellenze non vivono di retorica: vivono di mercato e di comunità» conclude.

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