Benestante e bianco ecologista perdente

Fateci caso. Conversare con chi detesta “gli ambientalisti”, è come farlo con un terrapiattista: impossibile fare capire come agisce in noi la sensibilità su temi che riguardano la relazione con la Terra, il perché del dolore e del senso di perdita davanti ai continui disastri e a scelte sempre dettate dall’economia e mai da una reale volontà di salvaguardia (incluse le guerre: oltre a quelli umani, solo tra Ucraina e Gaza stanno avvenendo catastrofi ambientali il cui impatto si ripercuoterà per decenni).

Mezzo secolo fa
fu pubblicato
“La distruzione
della natura
in Italia”
di Cederna

Confrontandolo con il libro
di Balocco
non si può essere ottimisti

Il terrapiattista non coglie una cosa: tutto ciò lo riguarda, ma il suo legame con la Terra è stato reciso e proprio da questo sistema di sviluppo che ha scientemente ignorato – supportato dalla grande maggioranza dei media - il legame tra perdita di biodiversità, crisi climatica globale, inquinamento e la perdita, il malessere, la malattia. Di questo nutrito blocco sociale, deve preoccuparci l’assenza di consapevolezza, di senso di responsabilità, l’anaffettività verso il pianeta che lo nutre: il non sentirsi responsabile lo assolve da ogni impegno a conoscere e ad agire.

Autobiografia

Ambientalista, divulgatore, Fabio Balocco ha pubblicato un libro che parla di questo. Doloroso, provocatorio, necessario, emozionante “Bianco Benestante Ambientalista” (Lar Editore, 230 pagine, 15 euro) è una sorta di autobiografia della consapevolezza, un forte richiamo proprio al principio di responsabilità. Oltre mezzo secolo di lotte per l’ambiente, per produrre un bene superiore insieme a una comunità variegata di persone motivate da quanto sopra. Ma c’è un vulnus insuperabile e lo capiamo dalla prefazione di Maurizio Pagliassotti, amico e compagno di tante battaglie ambientali con Pro Natura a Torino (la prima associazione nata in Italia): «Il titolo di quest’opera racconta tanto il nostro mondo, ben al di là dell’ambientalismo: ci mette di fronte a uno specchio dove vediamo un’immagine rotta, soprattutto in questi tempi di bontà che genera fatturato. La vita di un ambientalista rigoroso segue una traiettoria prevedibile, in salita. Forse come tutte, ma la vita dell’ambientalista rigoroso è una retta scolpita nella roccia. Si nasce con pensieri e sensibilità diverse e per tutta la vita ci si sente inesorabilmente diversi. Sarebbe bello se l’ambientalismo passasse: come una brutta febbre, come una brutta cotta delusa che, poco a poco, va via».

Questa “febbre” è il filo rosso del libro, il letto del fiume carsico dove scorre la sofferenza per l’avidità umana nei confronti della natura: avvocato, scrittore, alpinista, blogger Balocco attraverso brevi capitoli di vita, in tono lucido e confidenziale - intervallato da brevi racconti emozionali e immagini intense - racconta come la presa di coscienza dell’inevitabile percorso che porta a comprendere e a trasformare in quotidianità il dato più allarmante: quello che facciamo alla Terra, lo facciamo a noi stessi. Resta poco da fare, scrive Balocco smascherando con mille esempi un sistema sociale, economico, educativo e dell’informazione che non vuole cambiare paradigma. Mezzo secolo è passato dal fondamentale “La distruzione della natura in Italia” di Antonio Cederna e confrontando quel testo a “Bianco Benestante Ambientalista” non si può essere ottimisti: quello che veniva denunciato allora, resta tale. Anzi è peggio, perché ammantato di un male peggiore della suddetta febbre: il greenwashing, l’ammantare di messaggi “naturalizzati” che restano fatti per vendere e dunque istigare a consumi sfrenati. Cederna allora e Balocco oggi ci fanno capire che il problema siamo noi e la politica che esprimiamo. Le scelte che non facciamo.

Grandi temi

Diversi autori italiani in questo secolo pubblicano libri, podcast, documentari raccontano la scienza, la filosofia, lo spirito del nostro rapporto con la natura nell’Antropocene. “Bianco Benestante Ambientalista” sceglie di raccontare i grandi temi in forma autobiografica (Balocco è stato legale di supporto ai gruppi di difesa della Val di Susa nella controversia sulla Tav in Piemonte), preferendo ricordare come ciò che abbiamo perduto non è più recuperabile. Basta muoversi, girare, osservare, guardare, tornare nei luoghi – come la sua Liguria - che hai visto cambiare irrimediabilmente. Un auspicio a non adagiarci e a non vedere la natura come mero “luogo” di relax, divertimento, turismo. Non c’è bisogno delle neuroscienze per capire che toglierci il terreno sotto i piedi crea una società schizofrenica, psicotica, incapace di vedere che tutto è collegato esattamente al significato che ha la crisi climatica per tutti noi, basta volersi muovere e capire: “La mia attività di scrittore e blogger è contrassegnata dalla curiosità. Una curiosità rivolta verso i temi che i media non trattano o perché scomodi o perché marginali. Sento letteralmente una curiosità ma anche un dovere morale di parlare del margine o dell’inconosciuto, che sia ambiente o umanità. Anche se conoscere e approfondire può portare e spesso porta dolore. Il libro è anche questo: un percorso controcorrente e forse anche scomodo sullo ieri e sull’oggi”, racconta Fabio.

Occorre (ri)scoprire una relazione equa e disinteressata con la Terra e nel fare questo prendere coscienza, assumerci le responsabilità, esprimere un’altra politica. Nel capitolo “Le nostre sconfitte”, del suo periodo di lotta all’interno di Pro Natura ricorda che essere ambientalisti significa farlo “senza illusioni di cambiare il mondo, in qualche modo fedele al mio motto ‘Noi proteggiamo nel tempo libero ciò che altri distruggono per professione’ ”. Balocco supporta le sue affermazioni anche citando letteratura, cinema, musica, studi, filosofi, economisti, autori, scienziati: non inganni il tono confidenziale, perché essere “sconfitti” non significa avere torto, sembra dirci.

Nel 1972 lo studio intitolato “I limiti dello sviluppo” commissionato al Mit dal Club di Roma concludeva così: «è necessario che l’uomo analizzi dentro di sé gli scopi della propria attività e i valori che la ispirano, oltre che pensare al mondo che si accinge a modificare, incessantemente, giacché il problema non è solo stabilire se la specie umana potrà sopravvivere, ma anche, e soprattutto, se potrà farlo senza ridursi a un’esistenza indegna di essere vissuta».

La Liguria perduta

Come un anziano delle tribù indigene Fabio sa affermare che la perdita continua è una emorragia emotiva, molto concreta: «Lo struggimento è per un mondo che non esiste più, per quella Liguria autarchica del dopoguerra: non compravi in un non luogo come un supermercato, ma acquistavi da un contadino, da un pescatore, da una persona fisica, col quale intrattenevi un rapporto umano. Oggi siamo immersi all’interno di iperoggetti, in cui non hai più rapporti diretti con gli elementi naturali, specie se vivi in città, e in cui anche i rapporti umani sono degradati. Oggi rimpiangere non è una debolezza, è un dovere», perché, come leggiamo nell’Epilogo, allora «c’erano tutte le premesse per questo mondo, vero, ma questo mondo non c’era ancora».

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