
«Il problema – ha detto una volta lo scrittore e giornalista britannico Gilbert K. Chesterton – non è che non si individui la soluzione, è che spesso non si mette a fuoco il problema». In una fase economica e geopolitica straordinaria e convulsa, in cui di (presunte) soluzioni se ne propongono fin troppe, le Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, sono come una di quelle vitali rotelle di messa a fuoco che rendono utilizzabile un binocolo altrimenti inservibile.
Quando affronta il nodo dei dazi, per esempio, il Governatore non nega certo l’esistenza di squilibri della globalizzazione che hanno alimentato paura e rabbia, soprattutto nei popoli occidentali. Invita però a mettere a fuoco i problemi reali invece di limitarsi a generalizzazioni approssimative. «In realtà», ha sottolineato il Governatore, ampliamento delle disuguaglianze e ridotte opportunità di impiego per i lavoratori meno qualificati «riflettono in larga parte l’impatto del progresso tecnologico, oltre che le distorsioni generate da pratiche commerciali scorrette, come i massicci sussidi concessi da alcune economie emergenti alla propria manifattura».
Se questo è il problema, allora la soluzione propugnata finora dal Presidente Trump, quella di dazi alti e generalizzati, probabilmente non raggiungerà gli obiettivi che si è data la Casa Bianca. Ce ne accorgeremo presto tutti, se è vero che «l’inasprimento delle barriere doganali potrebbe sottrarre quasi un punto percentuale alla crescita mondiale nell’arco di un biennio». Ma soprattutto, qui il paradosso sottolineato tra le righe da Panetta, se ne accorgeranno gli Stati Uniti. Intanto perché negli States “l’effetto stimato è circa il doppio” di un punto di crescita in meno, tra minore domanda di lavoro, aumento delle pressioni inflazionistiche e clima di incertezza e volatilità sui mercati. Non solo. Gli Stati Uniti rischiano di vedere alterata la struttura del sistema monetario internazionale, oggi incentrata sul dollaro, ricorda Panetta, e gli effetti del protezionismo potrebbero «spingersi oltre, frenando la circolazione di persone, idee e conoscenze», indebolendo la cooperazione «anche in campo scientifico e tecnologico», altro storico presupposto del primato americano.
Se gli Stati Uniti piangono, l’Europa non ride. Anche per quanto riguarda il nostro continente, le Considerazioni Finali di ieri sono un virtuoso esercizio di messa a fuoco dei problemi, nel mezzo di una fitta nebbia fatta a volte di eccessivo allarmismo e altre volte di presuntuoso senso di superiorità. In primo luogo, Panetta ricorda come a fronte di un surplus commerciale europeo verso gli Stati Uniti si registri ormai da anni un surplus americano nei servizi verso l’Europa. Argomento da tenere presente e in evidenza nelle trattative con Washington, anche per esercitare pressione su aziende tecnologiche colossali (le prime sette americane valgono oggi oltre 15.000 miliardi di dollari, osserva il Governatore). In secondo luogo, Panetta descrive un “fragile scenario di ripresa” che certo non beneficia dell’instabilità in arrivo da Oltreoceano ma nemmeno del palese immobilismo delle riforme europee. Due gli esempi, tra i tanti. Sulla Difesa comune l’invito a muoversi rapidamente verso un programma unitario, «sostenuto da debito europeo». Sul rilancio necessario della competitività, una critica esplicita al progetto della Commissione che »non affronta il nodo cruciale del reperimento delle risorse», e anche qui l’invito a far progredire assieme la creazione di un «titolo pubblico europeo» e l’integrazione del mercato dei capitali.
Quando parla di Italia, Panetta, di nuovo va oltre certi schematismi (partigiani) cui rischiamo di abituarci a causa del clima di «guerra civile fredda» tra i partiti politici. «Il Paese ha mostrato segni di una ritrovata vitalità economica» negli ultimi cinque anni, osserva il Governatore. Le statistiche sono lì a dimostrarlo: «La crescita ha superato quella dell’area dell’euro. Il PIL è aumentato di circa il 6% (…). Gli occupati sono aumentati di un milione di unità, raggiungendo il massimo storico di oltre 24 milioni; il tasso di disoccupazione è sceso dal 10 al 6%». L’industria italiana, soprattutto per un doloroso processo di selezione naturale che ha attraversato, «non è destinata al declino». Valutazioni che non sono in contraddizione con commenti molto meno positivi dello stesso Panetta, come quando ricorda che, dopo lo shock inflazionistico del 2022-2023, i salari reali sono tornati «al di sotto di quelli del 2000, nonostante il recupero in atto dallo scorso anno».
Un andamento che il Governatore lega esplicitamente alla stagnazione della produttività. Ancora: «L’invecchiamento della popolazione e la bassa natalità sono destinati a incidere profondamente sul potenziale di crescita dell’economia italiana». Da qui l’esortazione ad ampliare la forza lavoro creando opportunità per gli Italiani che lasciano il Paese, e quindi favorendo una immigrazione regolare possibilmente con sempre più profili qualificati. Una volta messi davvero a fuoco i problemi, anche le soluzioni potrebbero apparire più semplici e fattibili di quanto pensiamo.
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