
Visto che Manzoni era un genio - e “I promessi sposi”, nonostante la scuola abbia fatto di tutto per farcelo odiare, un romanzo meraviglioso e profetico - aveva già capito tutto due secoli fa.
E nelle celeberrime pagine dedicate alle “gride”, i provvedimenti di legge che il Ducato di Milano emanava nel Seicento, ironizzava sull’assoluta inutilità di questi atti, che “diluviavano” ogni giorno, stabilivano pene terribili - carcere, tortura e mani mozzate - ma non venivano mai applicate a causa dell’inefficienza e della corruzione del sistema giudiziario. E infatti Don Rodrigo e i Bravi se ne facevano un baffo delle minacce di quei tromboni dei governanti dell’epoca e andavano avanti a delinquere, intoccabili e impuniti. E l’Azzeccagarbugli a brigare, intrallazzare e incassare, visto che “a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, nessuno è innocente”.
Ma visto che il trombonismo è una costante della politica, della giustizia e della cultura all’italiana, qualsiasi emergenza di cronaca permette ai tromboni di cui sopra di andare avanti a fare danni. Come ad esempio con la proposta del governo di introdurre il reato di femminicidio che, per fortuna, ha sollevato dubbi profondissimi in un’ottantina di giuriste - donne - di tutta Italia, basati su una considerazione razionale e destinata quindi a rimanere in minoranza, perché nella repubblica delle banane si pensa, si parla e si legifera sempre e solo sull’onda dell’emotività e della demagogia. Le giuriste ricordano che il nostro ordinamento prevede già l’ergastolo per chi uccide una donna (o un uomo, che è la stessa cosa, vero?), come abbiamo visto nel caso Turetta, e quindi qui a loro avviso siamo di fronte “all’ennesimo uso simbolico del diritto penale, a un’operazione di marketing senza alcuna efficacia concreta”. Chiunque uccide deve essere punito, a prescindere dal profilo del soggetto colpito, e ci mancherebbe altro, e le eventuali aggravanti attengono al singolo caso e non possono diventare un dogma generale, assoluto e aprioristico.
Oltretutto è provato dai dati che ovunque sia stato immesso nell’ordinamento il reato di femminicidio, come ad esempio nei paesi sudamericani in presenza di un numero elevatissimo di donne assassinate (in Italia negli ultimi dieci anni la quota di omicidi e femminicidi è in continua diminuzione: non è un commento, è un mero dato statistico), non ci sono stati risultati positivi. In Sud America si continua tranquillamente ad ammazzare le donne, alla faccia della “grida” di cui sopra. Così come la pena di morte vigente in tantissimi Stati degli Usa non serve come deterrente e non impedisce a quel paese di essere tra i più violenti, se non il più violento dell’Occidente.
L’appello delle giuriste sostiene infatti che a un soggetto che arriva per mille percorsi – psicologici, sociali, culturali, economici - alla determinazione di uccidere non fa alcuna differenza il rischio di prendere 21 anni o 30 o l’ergastolo. Uccide e basta. La minaccia della pena, compresa quella di morte, è del tutto inefficace. E quindi di fronte alla non comprensione del fenomeno e all’urgenza tutta demagogica di dare una risposta quale che sia all’opinione pubblica sconvolta dalla mattanza di Afragola che si fa? Si fa marketing, ci si inventa un ansiolitico sociale e si dà alla gente l’impressione che il governo stia risolvendo il problema mentre invece lo sta solo insabbiando, infiocchettandolo con la celeberrima battuta “schiaffatelo in galera e buttate via la chiave”, che è una frase talmente sciocca che la può dire solo un bambino o un ubriaco (o un ministro). Gli esseri umani non possono essere educati dal diritto penale: il diritto penale serve a tutelare i beni giuridici e il diritto alla vita di tutti, uomini, donne, bimbi, anziani, bianchi, neri, comaschi, lecchesi. Le pene ci sono già. Per educare le persone servono altri strumenti, non certo la minaccia della forca.
Ed è quando si citano altri strumenti, e quindi in particolare la scuola, che escono di scena i tromboni di destra e si alza il sipario su quelli di sinistra, ai quali non sembra vero di poter regalare alle umane genti la loro soluzione alla tragedia dei femminicidi. Corsi obbligatori a scuola contro la violenza sulle donne. Non facoltativi. Obbligatori! Con tanto di medici, psicologi, sociologi, sessuologi, associazioni e opere pie a indottrinare i nostri ragazzi su come ci si comporta, secondo uno spassosissimo (a sua insaputa) articolo sulla “Stampa”. In sintesi, la trasformazione, così cara alla culturetta sociologica sinistroide, della scuola in un gigantesco centro sociale, una gigantesca costola dei servizi sociali, una gigantesca seduta di autocoscienza alla “Ecce Bombo”, che fa tornare alla memoria i “formidabili” anni Settanta con i loro ridicoli corsi di educazione sessuale, di lotta alle tossicodipendenze, di tisane di albedo, di canti partigiani, di teatro alternativo in calzamaglia.
E poi che si fa, nei corsi obbligatori contro il patriarcato? Si recita il decalogo “non sbroccare se lei ti lascia!”, “non toccarti altrimenti San Luigi piange!”, “non sniffare la trielina che fa male alla salute!”, “non leggere l’Iliade che è tanto tanto violenta, ma neanche Shakespeare e Céline e Dostoevskij e Scorsese e Kurosawa e Hitchcock e Caravaggio e Munch e la Bibbia, la Bibbia soprattutto, che tra stupri, sgozzamenti e stragi di massa è una cosa orribile, signora mia!”?
Le leggi per punire chi uccide una donna ci sono. Gli insegnanti intelligenti per fornire, attraverso Ariosto o la matematica, un codice etico e culturale ai ragazzi, anche. I genitori perfettamente consci del proprio ruolo, pure. A che serve la punizione esemplare della destra? A che serve la rieducazione coatta della sinistra? Alle fine, come sempre, c’è l’uomo, il suo cuore di tenebra, il suo mistero insondabile, che può covare un angelo, ma anche un demone dentro di sé. Questo però è un discorso troppo complesso per i tromboni di destra e pure per quelli di sinistra.
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