Emmanuel Macron venuto a Roma su sua richiesta. I rapporti fra Italia e Francia passano anche dai rapporti personali tra i rispettivi capi di governo. A fronte dei continui screzi con Giorgia Meloni era necessario riportare la ragion di Stato.
E così è stato a Palazzo Chigi. Il presidente francese in visita di Stato onora il Trattato del Quirinale sottoscritto nel 2021 con il governo Draghi. Si tratta di dar corso ad iniziative comuni soprattutto negli investimenti. Il modello è il Trattato di Aquisgrana fra Germania e Francia. In questi anni però non si sono fatti passi avanti. La situazione in Europa è tale da richiedere compattezza perché la Russia attacca da Est e da Ovest incombe la minaccia dell’imprevedibilità di Trump. Macron ha tentato l’assolo con il lancio dei Volenterosi in accordo con il britannico Starmer ma è rimasto intrappolato nella sua tela. Nessuno in Europa vuole mandare i propri soldati in Ucraina. Grandi annunci ma poi anche Donald Tusk, il capo del governo polacco, si è tirato indietro. Solidarietà sì ma far morire i propri soldati contro i russi non è l’ipotesi migliore per portare la pace in Ucraina.
Il presidente francese ha giocato la sua carta in ragione anche della debolezza del governo tedesco di Olaf Scholz e con un colpo di teatro sperava di fare della Francia la protagonista assoluta della riscossa europea. Il problema per il capo di Stato francese è che in Europa avanzano i partiti cosiddetti sovranisti, che poi incidono nelle scelte di governo dei loro Paesi. In Polonia hanno eletto un dichiarato sostenitore di Trump, con una percentuale minima, ma sufficiente per sconfiggere un candidato alla presidenza polacca che aveva nel suo programma l’introduzione dell’insegnante di sostegno nelle scuole per le minoranze sessuali.
È forse un caso ma prima di ricevere Macron, a Palazzo Chigi è arrivato in visita ufficiale il capo del governo slovacco Robert Fico, politico fortemente conservatore e sovranista. Un amico di Orban per intenderci. Se nel pericolo occorre restare uniti in Europa è chiaro che un presidente francese alla Macron non è l’interlocutore giusto. Friedrich Merz, il cancelliere tedesco, l’ha capito al volo e dopo la foto a Tirana dei Volenterosi senza Meloni, ha fatto da mediatore e sollecitato il collega francese a ritornare sui suoi passi. Chi meglio di Meloni può interagire con la Polonia del neo presidente Nawrocki, con Geert Wilders in Olanda che ha appena fatto cadere il governo Schoof , con Robert Fico, con Orban e i populisti che pullulano ormai in tutti gli Stati europei compresa la Francia? La posizione del primo ministro italiano è per certi aspetti equivoca perché si definisce pontiere fra America ed Europa senza che vi siano certezze sull’altra sponda dell’Atlantico.
Ma questi sono i tempi. E su una cosa possiamo essere certi: per quanto i populisti si dichiarino anti europei, una volta al governo non staccano. Brexit insegna. Da soli non si va da nessuna parte. In questi chiaroscuri Roma ha buon gioco perché è forse l’unica capitale dove si sa che l’Europa è un valore. Non l’Europa burocratica, quella che ha adottato il centralismo del modello francese, che costringe tutti all’uniformità. La forza dell’Europa è la varietà, la molteplicità, il rispetto delle identità culturali. L’egemonia franco-tedesca sta lentamente venendo meno. E lo si vede anche dai contratti di difesa in essere con la tedesca Rheinmetall che si crea una sponda con Leonardo. Gli italiani in ST Microelectronics, azienda partecipata al 50% da Italia e Francia, hanno sfiduciato l’amministratore di nomina francese. E di questo dovranno parlare anche Meloni e Macron. A Parigi cominciano a capire ora che dopo ottant’anni il dopoguerra è finito. La nuova Europa è un’Europa di eguali.
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