
Dovrebbero esistere un ruolo politico e uno istituzionale. Certo, è una barzelletta come dimostrano una Treccani di esempi specie dopo l’avvento di quella che si chiama Seconda Repubblica che ha mandato del tutto in soffitta il “galateo istituzionale” in voga nella Prima. Però è inevitabile udire quello stridore da gesso calcato male sulla lavagna di fronte a dichiarazioni “di parte”, di qualcuno che dovrebbe rappresentare “tutti” e non solo, appunto, “una parte”, politica la sua.
L’ultimo caso è quello di Giorgia Meloni e i referendum di domenica 8 e lunedì 9. I cinque quesiti riguardano alcune norme che regolano il lavoro e l’ottenimento della cittadinanza italiana da parte degli stranieri. Si tratta, come spesso succede, di quesiti abrogativi: quelli per cui, detto con una sintesi sbrigativa, il “no” vuole dire “sì” o viceversa.
Perché i referendum siano validi occorre che si raggiunga il “quorum” del 50% degli aventi diritto di voto più uno. Un obiettivo che appare difficile se si considera che la consultazione non è abbinata ad altre se non al turno di ballottaggio nelle città sopra i 15mila abitanti che hanno votato la scorsa settimana e in cui il sindaco non è stato eletto al primo turno. Già in queste tornate, il traguardo del 50% appare una chimera. E perciò da escludere che possa scattare, almeno in quelle località, l’effetto trascinamento. Anzi.
Ciò detto, non appare felicissimo, proprio per le considerazioni di cui sopra, l’annuncio del presidente del Consiglio che, proprio in una giornata istituzionale qual è la festa della Repubblica ha detto che si recherà al seggio senza ritirare le schede: che equivale a fare una passeggiata e nello stesso tempo contribuire a tenere basso il quorum. In pratica come restare a casa. Una figura istituzionale se vuole astenersi a un referendum dovrebbe anche astenersi dal comunicarlo, proprio perché, al di là dell’appartenenza politica, rappresenta tutti.
E la cittadina Giorgia non è altra cosa della premier Meloni. Peraltro queste sortite possono anche generare l’effetto opposto e magari far cambiare idea, per dispetto alla leader di Fratelli d’Italia, a qualcuno che aveva deciso di non votare.
Il precedente di Bettino Craxi che aveva invitato gli italiani ad “andare al mare” in occasione del referendum sulla preferenza unica è un acclarato effetto boomerang, oltre che la dimostrazione che la Prima Repubblica con i suoi rituali di rispetto istituzionale era al tramonto. Meloni, peraltro, non è l’unica carica istituzionale ad aver preso posizione sul referendum non nel merito. Prima di lei anche Ignazio La Russa, presidente del Senato, aveva invitato all’astensione.
A margine varrebbe la pena di avviare una riflessione sull’istituto referendario. Vista la crescente disaffezione degli italiani nei confronti dei seggi, succede che i promotori dei “no” sono come quelle squadre di calcio che hanno a disposizione due risultati per vincere un campionato con un evidente sbilanciamento a danno di chi propone il referendum. Sarebbe il caso di valutare l’ipotesi di un abbassamento del quorum per rendere valido questo esercizio di democrazia diretta.
Ma poiché quello dell’astensione è diventato un partito molto gettonato e trasversale è difficile aspettarsi che questo accada.
@angelini_f
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