
Sulle modalità di conduzione della guerra nella Striscia di Gaza pesano come macigni anche le parole di esponenti del governo israeliano e dei partiti di maggioranza che lo sostengono. Il massacro del 7 ottobre 2023 compiuto da Hamas ha rappresentato pure un gravissimo choc psicologico per la popolazione ebraica, la scoperta della vulnerabilità assoluta nel proprio Stato.
«Un punto di svolta» nel conflitto, come lo definì il Patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa. Il primo ministro Benjamin Netanyahu il giorno dopo la strage nei kibbutz e nell’area del Nova Festival (1.200 morti, 859 civili, 37 minorenni fra cui due neonati), annunciò gli obiettivi della reazione: «Distruggeremo Hamas» ma anche «trasformeremo Gaza in un’isola deserta, ci vendicheremo in modo poderoso». Alle parole sono seguiti i fatti. Nei mesi successivi c’è stata un’escalation verbale impressionante. Nissim Vaturi, deputato del Likud, il partito del premier, e vicepresidente della Knesset, definì i palestinesi della Striscia «feccia, subumani, nessuno al mondo li vuole. I bambini e le donne vanno separati e gli adulti eliminati».
Gravissime dichiarazioni sono arrivate anche da due ministri, esponenti dell’estrema destra religiosa: «Nessuno ci lascerà causare la morte per fame di 2 milioni di civili, anche se potrebbe essere giustificato e morale, finché i nostri ostaggi non saranno restituiti» (Bezalel Smotrich); «I palestinesi meritano solo una pallottola in testa» (Itamar Ben Gvir). E poi un altro parlamentare del Likud, Moshe Saada, che in tv ha detto: «Sì, farò morire di fame gli abitanti di Gaza, sì, questo è un nostro obbligo». Per un altro ministro, Amichai Eliahu, una bomba atomica su Gaza «sarebbe una delle possibilità», anche se ne andasse della vita degli ostaggi perché «le guerre hanno un loro prezzo». Poi ritrattò su richiesta di Netanyahu, venne sospeso ma restò al suo posto, come tutti gli esponenti politici e di governo che hanno pronunciato parole choccanti.
A nulla vale la replica che Hamas professa la distruzione di Israele perché Hamas è stata designata organizzazione terroristica dall’Ue e dagli Usa mentre lo Stato ebraico è accreditato da Europa e Washington come l’unica democrazia del Medio Oriente. Le dichiarazioni riportate sopra sono il termometro della deriva della maggioranza politica israeliana, pericolosa pure per la tenuta dello stesso Stato ebraico.L’uso della fame come arma di guerra è il crimine per il quale Netanyahu è sotto mandato di arresto della Corte penale internazionale dell’Aja che ha emesso mandati analoghi per tre capi di Hamas, nel frattempo uccisi nelle operazioni militari a Gaza. Prima del 7 ottobre nella Striscia entravano 500 camion al giorno di aiuti umanitari, dal 2 marzo scorso nessuno. Ora la distribuzione di pacchi alimentari è affidata alla controversa «Gaza humanitarian foundation» tramite contractor americani armati, in quattro punti per due milioni di persone (prima, quando erano le agenzie dell’Onu a occuparsene, i punti erano 400), aree militarizzate dove sono stati uccisi civili che spinti dalla fame avrebbero oltrepassato perimetri indefiniti.
Un’organizzazione indipendente di comprovata serietà, “Medici del Mondo”, ha elaborato una ricerca secondo la quale nel 2024 tra i gazawi quasi uno su quattro sotto l’anno di età e il 19% delle donne in gravidanza o in allattamento risultavano affetti da malnutrizione acuta. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, un tasso di malnutrizione del 10% è elevato e del 15% critico. I bombardamenti sulla Striscia hanno distrutto l’80% degli edifici, ucciso 54mila persone (17mila bambini) e azzerato ogni attività lavorativa di sussistenza. I bisogni della popolazione sono quindi aumentati, anche per l’assistenza sanitaria che non ha risposte adeguate alla grave emergenza. E dopo tutto questo dolore, dopo parole e azioni disumane, Hamas è stata indebolita ma non sconfitta. Lo scrittore israeliano David Grossman, che ha dato un giovane figlio al suo Paese, soldato ucciso in Libano, ha posto due domande semplici ma decisive: «Che cosa stiamo facendo? Come usciamo da questa situazione?». Ignazio De Francesco, islamologo e monaco dossettiano residente in un villaggio della Cisgiordania, in un’intervista dichiarò: «Gli ebrei hanno così tanti secoli di persecuzione alle spalle che quando sentono minacciata la propria sicurezza possono fare qualsiasi cosa. Quando chiedo cosa pensano dei palestinesi, la risposta è: “Ci odiano e vogliono ucciderci”. È un timore che non ha un fondamento oggettivo ma che può spingere l’elettore a votare chiunque gli prometta sicurezza. La risposta securitaria non può reggere, fino a un trasferimento di massa di tutti i palestinesi». Una soluzione prospettata dal governo Netanyahu: ma non chiuderà la guerra, la perpetuerà.
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