Cronaca / Sondrio e cintura
Giovedì 04 Dicembre 2025
Caso Confortola: dubbi su 4 salite. Non riconosciuta la vetta del Kangchenjunga
Il verdetto dell’Himalayan Database contro l’alpinista valtellinese che ha un anno di tempo per dimostrare il contrario
L’Himalayan Database ha ufficialmente preso posizione sul “caso Confortola”, la vicenda che negli ultimi mesi ha acceso il dibattito nell’alpinismo italiano e internazionale. Al centro della questione c’è Marco Confortola, alpinista valtellinese, da anni figura di riferimento nelle grandi salite himalayane e ora coinvolto in una revisione critica del suo curriculum sugli Ottomila.
Come anticipato lo scorso agosto da Billi Bierling, responsabile dell’Himalayan Database, il team ha analizzato nel dettaglio la documentazione relativa alle salite dichiarate da Confortola. Il risultato, pubblicato oggi, è destinato a far discutere:
Makalu, Lhotse, Dhaulagiri e Annapurna verranno inserite come disputed, cioè contestate.
Perché queste cime possano essere confermate, l’alpinista valtellinese avrà 12 mesi per presentare prove certe e inequivocabili: foto originali, tracciati GPS o testimonianze solide. In caso contrario, le ascensioni verranno riclassificate come “non salite”.
Ancora più netta è la decisione sul Kangchenjunga, una delle vette più prestigiose e discusse dell’intero curriculum di Confortola: per l’Himalayan Database la cima è “non riconosciuta”. Significa che, allo stato attuale, non esistono elementi sufficienti per validarne l’ascensione.
Si tratta di un aggiornamento che giunge dopo mesi di testimonianze contrastanti e polemiche rese pubbliche da altri alpinisti, secondo i quali alcune salite del valtellinese presenterebbero incongruenze: foto poco chiare, presunti fotomontaggi, immagini attribuite ad altre spedizioni, dettagli discordanti nei racconti. Materiale ritenuto sufficiente dall’Himalayan Database per avviare un processo di verifica.
Dalla squadra guidata da Bierling, però, si precisa che non si è trattato di una “indagine” nel senso giudiziario del termine. L’obiettivo non era puntare il dito contro un singolo, bensì mantenere la precisione e l’affidabilità dell’archivio che da decenni rappresenta la memoria storica dell’Himalaya nepalese.
Il messaggio è chiaro: “Abbiamo bisogno di prove”. Nessuna caccia alle streghe, nessun giudizio personale; solo il tentativo di riportare ordine in un mondo dove, oggi più che mai, un’immagine non verificata può essere meno solida di un racconto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA