
Economia / Lecco città
Lunedì 05 Maggio 2025
«Addio fotocopie, benvenuta Ia». Così cambia la gavetta della Gen Z
Capitale umano «L’Intelligenza artificiale non sostituirà il talento umano, lo amplificherà» spiega Mayer,ceo di Talent Garden. Ma se l’Ia svolge i compiti operativi, chi insegna ai giovani come si lavora davvero?
Lecco
Secondo Gartner HR, uno dei trend del mondo del lavoro per il 2025 sarà l’attivismo dei dipendenti, che spingerà le aziende ad adottare policy per un uso responsabile dell’Intelligenza artificiale (Ia). Ma mentre le imprese si attrezzano per rispondere alle nuove sensibilità etiche dei lavoratori, emerge un’altra questione, più silenziosa ma altrettanto urgente: se molte competenze operative di base sono ormai automatizzate, chi forma i giovani della Gen Z al loro primo impiego? E soprattutto, che senso ha oggi la cosiddetta gavetta, se l’intelligenza artificiale è in grado di svolgere in pochi secondi ciò che un giovane lavoratore avrebbe impiegato ore a completare? Secondo Giuseppe Mayer, ceo di Talent Garden ed esperto riconosciuto di trasformazione digitale, «quello che stiamo vivendo è una rivoluzione radicale del concetto stesso di primo lavoro. Le attività che un tempo permettevano ai giovani di imparare facendo – raccogliere dati, redigere report, organizzare informazioni – oggi sono delegate all’Ia». Ciò significa meno occasioni per sbagliare, meno tempo per imparare. E un rischio concreto: giovani professionisti che arrivano nei team senza aver mai fatto esperienza di base, ma chiamati a prendere decisioni complesse fin da subito. Un paradosso che può trasformarsi in un’opportunità, se sapremo reinventare i percorsi di apprendimento. «In realtà», prosegue Mayer, «l’intelligenza artificiale è un alleato formidabile, soprattutto nelle aree dove siamo meno competenti.
L’Ia è il miglior supporto possibile per chi deve affrontare un ambito nuovo. Ma quando si tratta di consolidare le nostre capacità, serve ancora esperienza, serve mettersi alla prova. Dobbiamo smettere di pensare alla formazione professionale come un percorso lineare, che parte da compiti semplici e sale di livello. Serve un nuovo modello».
L’apprendimento esperienziale Giuseppe Mayer è anche docente universitario, e da tempo si chiede: «Ha ancora senso oggi chiedere a uno studente di ripetere a memoria concetti imparati sui libri, come si faceva trent’anni fa? Io penso di no». Secondo il ceo di Talent Gartner Sarebbe molto più utile proporre quesiti come:
«Questo è un prompt per un’intelligenza artificiale. Come lo miglioreresti?», oppure: «Ecco l’output di un prompt. Cosa non ha funzionato?».
Il messaggio è chiaro: la rivoluzione non riguarda solo il lavoro, ma anche la scuola, l’università, la formazione continua. «Un tempo, imparare voleva dire fare fotocopie per settimane. Oggi non ha più senso. Ma non possiamo rinunciare all’apprendimento esperienziale: dobbiamo solo trovare nuovi modi per farlo accadere».
Ecco allora che emerge una visione diversa della «gavetta»: non più una serie di mansioni ripetitive, ma una collaborazione attiva con l’intelligenza artificiale. Mayer suggerisce: «Pensiamo a un giovane che entra in azienda. Mentre il manager utilizza l’IA per creare una presentazione, il suo compito potrebbe essere quello di rivedere i contenuti generati, correggere i prompt, migliorarli, aggiungere il suo contributo umano. Questa è la nuova gavetta». L’obiettivo è quindi superare i modelli novecenteschi. «Usiamo ancora l’organigramma, una struttura rigida disegnata cent’anni fa. Ha senso oggi dire a un ragazzo che entra in azienda che il suo nome è l’ultima riga in basso a destra? La tecnologia ci consente di organizzare il lavoro in modo più fluido, orizzontale, partecipativo».
E l’IA, da minaccia, diventa occasione. Lo conferma una recente ricerca di Capgemini: il 52% dei leader aziendali si aspetta che i ruoli junior acquisiscano maggiore autonomia decisionale. Se l’IA prende in carico le attività ripetitive, ai giovani professionisti sarà chiesto di sviluppare competenze decisionali, pensiero critico, visione strategica. Una sfida immensa, che può però accelerare la crescita. «Il problema - osserva Mayer - è che spesso chi detiene il potere tende a mantenerlo, invece che favorire la crescita degli altri. Questo è un problema culturale, non solo italiano. Ma se vogliamo davvero valorizzare le nuove generazioni, dobbiamo creare spazi in cui possano sbagliare, imparare, evolvere. Perché l’Ia non sostituirà il talento umano, lo amplificherà». Non è solo teoria. Mayer porta l’esempio delle sue prime esperienze lavorative, quando, giovane e inesperto, si ritrovò a occuparsi di digitale in un’azienda che non sapeva ancora cosa farne. «Proprio perché nessun altro aveva quelle competenze, ho potuto sperimentare, fare, sbagliare. È lì che si impara davvero. Oggi dobbiamo dare ai ragazzi lo stesso tipo di possibilità, anche se il contesto è cambiato».
Tre strategie
Mayer individua tre strategie. Innazitutto, promuovere la cosiddetta «AI fluency»: «Non basta saper usare l’Ia, bisogna saperla dirigere, comprenderne limiti e potenzialità». Come evidenzia uno studio EY, figure come gli AI engineer vedranno una crescita del 8,7% nel settore Comunicazione e Media. Ma non è l’unico settore: i data scientist (+9,1% nel Banking), gli esperti di sicurezza dati (+12,1% nell’Ict) e gli specialisti in cybersecurity (+12,5% nelle banche) sono tutti ruoli in forte crescita. In secondo luogo, costruire un «portfolio ibrido», che unisca competenze tecniche e soft skill.
«L’intelligenza artificiale è potente, ma ha bisogno della supervisione umana. I professionisti del futuro saranno quelli capaci di integrare i due mondi».
Terzo, scegliere le aziende giuste.
«Quelle che investono nella formazione, che creano laboratori di sperimentazione, che affiancano i giovani all’Ia in modo consapevole. Non si tratta solo di usare la tecnologia, ma di sviluppare un pensiero nuovo».
Acque inesplorate
«La verità è che stiamo navigando in acque inesplorate», conclude Mayer. «L’unica cosa da non fare è avere paura del cambiamento. Non stiamo perdendo competenze, stiamo liberando tempo e spazio per attività più strategiche, più umane, più creative».
Oggi più che mai, quindi, la formazione non può essere lasciata al caso. E nemmeno al talento individuale. «Le aziende non possono permettere che ognuno usi l’IA a modo suo. Servono linee guida, strumenti, cultura condivisa. Perché tra usare un’Ia e saperla usare davvero c’è la stessa differenza che passa tra guidare un’auto e fare un giro di pista da record».
La vera sfida non sarà l’adozione dell’Ia, quella avverrà, volenti o nolenti, ma l’adozione consapevole. Una nuova alfabetizzazione tecnologica, capace di fondere intelligenza artificiale e intelligenza umana in un nuovo equilibrio. Un equilibrio che, se ben governato, può restituire senso e valore all’esperienza lavorativa, fin dal primo giorno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA