Tasse dei frontalieri
Stangata in arrivo
sui nuovi contratti

Si stima un aumento del 20-30%. Puglia (Ocst): «Importante la tutela dei “vecchi”, con le risorse in più, ipotesi indennità disoccupazione»

«I frontalieri oggi impiegati in Ticino e in Svizzera possono stare tranquilli. Con il nuovo accordo fiscale per loro rimarrà tutto com’è. Anzi abbiamo a lungo insistito affinché la definizione di “vecchio frontaliere” venga legata al numero Avs, cioè mantenuta a vita e quindi non cancellata da un eventuale cambio del posto di lavoro. Così non sarà invece per i “nuovi” frontalieri». La lunga chiacchierata con Andrea Puglia, responsabile frontalieri del sindacato ticinese Ocst, parte da qui. Anche in Ticino, dopo le dichiarazioni improntate all’ottimismo del premier italiano Giuseppe Conte e della presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga, questa sembra davvero essere la volta buona, per un accordo o meglio per un nuovo accordo tra i due Paesi incagliato nelle fitte maglie della politica - in particolare quella italiana - da quasi cinque anni.

«Sono circolate diverse notizie dal primo annuncio - avvenuto la scorsa settimana - sulla volontà di sottoscrivere definitivamente entro l’anno il nuovo accordo fiscale - sottolinea Andrea Puglia -. In realtà rispetto alla prima bozza del 2015, che avevano bocciato senza termini, molte cose sono cambiate. Il nuovo accordo è il risultato di profonde modifiche apportate in questi anni. Traduco in due concetti i contenuti del primo accordo del 2015: molte più tasse e molti meno servizi. Il dibattito si concentra sui nuovi frontalieri (il cui carico fiscale, come vedremo, aumenterà di un 20-30% rispetto agli attuali canoni), dopo che per quelli attualmente impiegati oltreconfine abbiamo ottenuto - e lo ribadisco - che nei loro confronti non verrà applicato alcun rincaro d’imposta, cioè nessuno di loro pagherà più tasse».

Il meccanismo

Dunque il binario su cui correrà il nuovo accordo fiscale pare essere ben definito. L’intesa - rivista e corretta in più punti - interesserà i nuovi frontalieri. In pratica, la bozza dell’accordo prevede che i frontalieri che troveranno lavoro oltreconfine «pagheranno l’imposta alla fonte, ma dovranno poi dichiarare il reddito del lavoro in Italia con credito d’imposta per quanto già pagato in Svizzera». Dalla scorsa settimana in poi - da quando cioè il ministro federale degli Esteri, il ticinese Ignazio Cassis ha annunciato la firma del nuovo accordo fiscale con l’Italia entro l’anno - si sono rincorse parecchie voci sul trattamento fiscale cui saranno sottoposti i “nuovi” frontalieri, tanto che qualcuno si è spinto addirittura a parlare di «discriminazione». Andrea Puglia - a questo proposito - precisa che «chi entrerà nel mercato del lavoro lo farà con regole chiare e chi è già dentro non incorrerà in una decurtazione del reddito pari al 20-30%».

Dunque andare a lavorare in Ticino e più in generale in Svizzera richiederà qualche riflessione in più rispetto agli attuali benefici economici (e fiscali) che un impiego nella vicina Confederazione porta in dote.

Tutto questo sempre che le regole d’ingaggio vengano rispettate fino in fondo e cioè sempre che i contratti collettivi - ove sono presenti - vengono applicati alla lettera. Il riferimento è ai numerosi casi di dumping salariale raccontati anche dal nostro giornale in questi anni. Di certo, la firma del nuovo accordo tra Italia e Svizzera creerà una forbice abbastanza tra “vecchi” e “nuovi” frontalieri. Andrea Puglia, però, anticipa anche un concetto importante sempre nei confronti dei “nuovi” frontalieri e cioè che «grazie alle imposte dei nuovi frontalieri si potranno ricavare risorse da reinvestire per gli stessi lavoratori. Penso ad esempio ad un’indennità di disoccupazione speciale rivolta proprio ai nuovi frontalieri».

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