Esercito europeo una storia travagliata

Esercito europeo: una storia lunga e travagliata

Il fondato timore di un’escalation di soprusi e violenze generato dall’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, con possibili nuove iniziative intimidatorie verso altri paesi dell’Unione confinanti con la Russia, ha digffuso la consapevolezza di dover costituire un esercito comune europeo. In tale avveduta direzione si è mossa per il momento solo la Commissione europea la quale, in presenza dell’inatteso ritiro di Trump dagli impegni assunti con il Patto Atlantico, ha presentato un piano di 800 miliardi - “ReArm Europe” - per potenziare sensibilmente le capacità militari del Vecchio continente. Il piano si compone di cinque punti e prevede tra l’altro la flessibilità nell’uso dei fondi di coesione e l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità per consentire agli stati membri di aumentare la spesa per la difesa senza incorrere nella procedura d’infrazione. Come prevedibile sono già stati preannunciati da varie parti i consueti “veti” che renderanno assai problematica l’attuazione del progetto.

A complicare le cose è giunta anche la richiesta fatta alla Nato dal Presidente degli Stati Uniti di costringere i paesi aderenti a realizzare in un breve lasso di tempo spese militari fino al 5% del PIL. Un assist subito raccolto da molte nazioni europee che hanno già varato l’aumento delle loro spese in armamenti senza il rispetto di un piano comune, a cominciare proprio dalla corazzata tedesca che gode di condizioni di bilancio favorevoli.

Al contempo, nei paesi più propensi all’originario progetto federalista europeo si sta sollevando una vera e propria indignazione rispetto a uno scenario che vede l’Europa incapace di agire per il rispetto dei suoi tradizionali principi di fratellanza, umanità e pace. Ovunque si stanno organizzando manifestazioni, con larghissime partecipazioni soprattutto da parte dei giovani, che chiedono all’Europa di svolgere un ruolo di efficace mediazione per pervenire nel più breve tempo possibile alla fine dei conflitti in corso. Questo encomiabile, sia pur improvviso, afflato comunitario, deve tuttavia fare i conti con una cruda realtà. La debolezza che l’Europa ha fin qui dimostrato è in larga parte la naturale conseguenza dal fatto che i singoli stati si siano fino ad ora ben guardati dal trasferirle sovranità in campo diplomatico e di difesa e molti sono fermi nel voler mantenere il diritto di “veto” su ogni importante decisione.

L’idea di costituire un esercito comune europeo ha una lunga e tormentata storia. Se ne iniziò a parlare qualche anno dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti dichiararono agli alleati europei che l’Europa non avrebbe potuto far fronte alla minaccia sovietica se non fosse stato consentito alla Germania di avere nuovamente un esercito. Per alcuni paesi che non avevano di certo dimenticato le gravi responsabilità tedesche di un passato ancora vicino, la proposta fu giudicata scandalosa. Fu la Francia, con una mossa geniale, a risolvere l’impasse mettendo sul tavolo la proposta di creazione di una Comunità europea di difesa di cui la Germania sarebbe stata membro insieme ai cinque paesi della Comunità europea del carbone e dell’acciaio: Francia, Italia, Lussemburgo, Belgio, Paesi Bassi. Nei mesi che seguirono si negoziò un trattato che fu firmato il 27 maggio 1952. Venne così sancito che l’Assemblea parlamentare della CECA avrebbe avuto il compito di scrivere la costituzione dell’Europa. Ne fu principale interprete nonché ideologo Alcide De Gasperi, che di quell’Assemblea divenne presidente l’11 maggio del 1954.

Come ben sappiamo, di lì a poco tutto cambiò. Il potente motore dell’Europa cominciò a decelerare e ingolfarsi per gli inaspettati voltafaccia di De Gaulle e Mendes-France, preoccupati di voler mantenere la sovranità in campo militare. Ad agosto del 1954, pochi giorni prima di morire, Alcide De Gasperi scrisse una lettera a Mariano Rumor e Amintore Fanfani, quest’ultimo segretario della Democrazia Cristiana, esortandoli a contrastare la strategia francese, sostenendo che l’Italia sarebbe stato il paese maggiormente danneggiato dal progressivo ritorno degli eserciti nazionali. Undici giorni dopo la sua morte, l’Assemblea nazionale francese rifiutò la ratifica della Comunità europea di difesa.

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