La cultura non si censura ma gli spot alle guerre sì

Tanto tuonò che piovve. Gli avvenimenti, soprattutto quelli negativi, non accadono all’improvviso, ma sono anticipati da segnali premonitori, proprio come il tuono annuncia la pioggia. Il proverbio, attribuito a Socrate, induce alla prudenza e a non ignorare gli avvertimenti. Le guerre iniziano sempre dalla propaganda che crea il clima di avversione fino alla degenerazione nella violenza armata. È stato annullato il concerto che il maestro moscovita Valery Gergiev avrebbe dovuto dirigere alla Reggia di Caserta il prossimo 27 luglio, promosso e poi cancellato dalla stessa istituzione. L’annuncio del concerto aveva provocato le proteste delle comunità ucraine e dell’ambasciata di Kiev in Italia, dei dissidenti russi che vivono nel nostro Paese, una petizione con 16mila firme e una lettera di premi Nobel per chiedere lo stop all’iniziativa.

L’arte, la cultura e il pensiero non possono essere censurati. La libertà è un bene assoluto, irrinunciabile nelle democrazie. Ma la libertà assoluta non esiste, trovando un baluardo nella responsabilità: non tutte le azioni sono lecite e infatti le leggi pongono limiti all’agire. Ma anche alle parole, che non possono essere utilizzate come pietre che feriscono il prossimo. Il grande maestro Valery Gergiev appartiene con ostentata fierezza al sistema di potere politico, ideologico ed economico putiniano: è una delle sue voci più autorevoli proprio in virtù delle immense doti artistiche che lo hanno reso noto in tutto il mondo. È un sostenitore di quella che il Cremlino chiama ancora «operazione militare speciale» in Ucraina con annessi vasti, reiterati e documentati crimini sui civili. Settimana scorsa Gergiev ha diretto la prima al Teatro Bolshoj di Mosca, dedicata alla «liberazione» del Donbass, l’annessione militare e illegale della regione insieme ad altri territori appartenenti a Kiev e ufficializzata da Vladimir Putin nel settembre 2022. La «liberazione» comprende, fra gli altri crimini, il trasferimento a forza in Russia di migliaia di minori dalle terre depredate. Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca (Pd), ha difeso strenuamente il concerto, promuovendolo come iniziativa di pace e ricordando l’impegno della sua Giunta nell’accoglienza dei profughi scappati dallo Stato invaso su larga scala dalla Russia nel famigerato 24 febbraio 2022. Ma De Luca è caduto in una contraddizione: voler dare palco e visibilità a un propagandista che sostiene il conflitto dal quale quei profughi sono scappati.

Nel dibattito pubblico e nella perniciosa contrapposizione fra guerre, è stato ricordato che nessun veto è invece caduto su un altro grande maestro d’orchestra, l’israeliano Daniel Oren, la cui esibizione nella Reggia di Caserta il prossimo 27 luglio è stata invece confermata. Ma l’artista ha preso pubblicamente le distanze da Benjamin Netanyahu e dalla barbara guerra nella Striscia di Gaza, affermando che l’unica forza che accetta è quella della musica. Eppure fu comunque contestato durante un’esibizione al Teatro San Carlo di Napoli.

Tra i firmatari della lettera sottoscritta per la cancellazione del concerto di Gergiev, c’è anche la storica Anna Foa, ebrea, autrice di un recente saggio che ha sollevato molte polemiche, intitolato «Il suicidio di Israele»: «Sono molto soddisfatta - ha dichiarato ieri - che il concerto sia stato annullato. Non si tratta di boicottare i russi in quanto russi ma di boicottare un personaggio che è un collaborazionista di Putin e ha responsabilità individuale. È una cosa molto diversa dal boicottare la libertà d’espressione». Nel dibattito sul «caso Caserta», c’è chi ha sostenuto che per coerenza andrebbero vietate anche le opere musicali condotte da un altro immenso maestro, Herbert von Karajan, che fu un propagandista di Adolf Hitler. Ma la Seconda guerra mondiale si è chiusa e la posizione politica di von Karajan è stata sconfitta, tenuta viva solo da piccole, ignobili minoranze neonaziste.

Chi come noi ha il privilegio di non vivere dentro i conflitti armati, deve guardarsi da quelli verbali, da ideologie e propagande che anche qui giustificano crimini sui civili e da parole che feriscono le persone, come quelle rivolte a chi fugge da guerre, dibattute o dimenticate (in Sudan e in Congo). Lo scrittore islandese Jón Kalman Stefánsson ci ricorda che «le parole possono essere proiettili, ma possono anche essere squadre di soccorso».

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