La Pasqua di Gesù, un’umanità fraterna

Di mosignor Bortolo Uberti

L’aria che tira di questi tempi non è quella della Breva e del Tivano.

Questi venti, lo sappiamo bene, hanno la loro direzione, una da sud l’altro da nord; i loro orari, una al pomeriggio e l’altro al mattino; si alternano nel disegnare lungo il lago correnti e sfumature.

L’aria che si respira, invece, è piuttosto quella dell’incertezza e dell’inquietudine: non sappiamo dove ci stia spingendo e ci nasconde i punti di riferimento più solidi.

Parliamo di speranza, forse anche con un po’ di retorica, ma il nostro guardare avanti è precario, come, del resto, lo sono tante situazioni economiche, lavorative e affettive.

Il clima che si respira è quello di un dilagare di guerre che si incancreniscono e che fanno temere l’approssimarsi di un conflitto globale; percepiamo una rabbia e un’aggressività diffuse, anche tra le mura di casa; crescono l’intolleranza e l’esclusione della diversità. La nostra società è sull’orlo di una recessione economica che significherà, tra l’altro, l’aumento delle povertà, e da tempo, ormai, non usciamo dall’inverno demografico. Tra questi sintomi cosa significa celebrare la pasqua? Come possiamo parlare di vita buona, autentica, gioiosa?

Come possiamo abitare l’alba del primo giorno quando ci sembra di non venir fuori dall’oscurità della notte?

La pasqua, ed è questo che ci auguriamo, è aria nuova, fresca, è vento contrario, quello che fa decollare gli aerei. Quando, infatti, tutto sembra essere finito e Gesù è già nel sepolcro custodito dalle guardie, una donna, Maria di Magdala, si alza nella notte, la notte insonne del dolore e del vuoto, attraversa la città e raggiunge il giardino.

Quando l’odore è quello gramo della morte e del lutto, lei porta con sé profumi preziosi di fragranze genuine.

Quando gli altri, i discepoli, se ne stanno chiusi in casa per paura dei capi del popolo, lei, con coraggio, esce e niente la ferma.

Va lì, in quel giardino, perché lì cerca risposte alle domande che la agitano; va lì perché non si rassegna alla morte, all’odio, all’ingiustizia. Non importa dove stiano gli altri, lei ci va. Non importa cosa dicano gli altri, lei ci va.

In nome di cosa ha questo coraggio?

In nome della promessa che Gesù aveva fatto: sarò sempre con voi. In nome della certezza che il destino dell’umano è la vita.

Siamo stati creati per il bene e per la giustizia e l’ultima parola, nonostante tutto, sarà quella.

L’immagine vera del volto di ciascuno non è quella graffiata dall’odio ma quella contornata dall’amore.

L’immagine vera di questo tempo e della nostra terra non è quella che appare a prima vista, in modo forte, quasi da far paura, ma è l’immagine di un’umanità riconciliata e fraterna.

La pasqua dice questo. Non va dimenticato.

Scriveva Salvatore Quasimodo: “E si rovescia la tua pietra dove esita l’immagine del mondo”.

È più che esitante, oggi, l’immagine del mondo, ma la risurrezione di Gesù, il rovesciarsi della pietra del sepolcro, ne fa emergere una diversa, più luminosa e vera. Noi siamo questa.

L’augurio di pasqua, allora, è quello di riascoltare la promessa di Gesù e di ritrovare il coraggio di quella donna.

È possibile perché in Gesù vediamo il modello vero dell’uomo, lo pensiamo il primogenito di molti fratelli, in lui ritroviamo l’umanità ferita, l’innocente perseguitato, il giusto condannato, chiunque è solo e triste, ciascuno di noi. Nella sua risurrezione noi sentiamo la voce di Dio gridare che questo accadrà ad ogni uomo: siamo figli della vita e della gioia e a questo siamo destinati. Non rinneghiamo il nostro destino ma costruiamolo. Anche nelle stagioni più dure e tra i venti avversi non dimentichiamolo.

A volte ci sembra di stare all’inferno ma il nostro posto è il paradiso.

E così scrive il monaco e poeta Domenico Ciardi: “Oggi il gemere d’ogni silenzio e d’ogni voce è fatto canto grande di bellezza. Anche all’inferno fioriscono le viole”.

Figuriamoci qui, in mezzo a noi!

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