Solo carta d’imbarco, una scelta discutibile

Da qualche giorno in aeroporto per accedere al gate basta la carta d’imbarco. La carta d’identità può restare nel portafoglio. Con questa disposizione l’Enac ha cambiato, nel silenzio generale, una prassi di sicurezza che sembrava intoccabile. Per volare in Italia e verso i Paesi dell’area Schengen (i 29 Paesi che hanno abolito i controlli alle frontiere per garantire la libertà di circolazione), non sarà più necessario mostrare un documento al momento dell’imbarco. Una rivoluzione – dicono – per snellire le procedure e velocizzare i tempi. Ma dietro questa apparente modernizzazione si nasconde un punto cieco inquietante: l’identificazione del passeggero, ultimo baluardo contro l’inganno prima di salire a bordo, viene delegata alla buona fede.

Perché per decenni è stata controllata la carta d’identità al gate (e continua a essere controllata per i Paesi fuori da Schengen)? Perché si voleva – e si doveva – verificare che chi saliva sull’aereo fosse davvero chi diceva di essere. E invece oggi si rinuncia a tutto questo, dichiarando che «la mancata verifica della concordanza tra il nome sulla carta di imbarco e quello sulla carta d’identità non compromette un adeguato livello di sicurezza». Ne siamo sicuri? O sono parole che pesano come una rinuncia?

L’intento dell’Enac, sostenuto dal ministero dell’Interno, è quello di equiparare l’aereo al treno. Come è noto soprattutto le tratte nazionali vedono tempi più rapidi e meno scomodi a vantaggio della rotaia proprio per le pratiche burocratiche e di sicurezza necessarie negli aeroporti, intensificate dopo l’11 settembre 2001. Ma questa analogia è tanto affascinante quanto infondata. Un aereo non è un vagone ferroviario. In volo non si può tornare indietro, né fermarsi alla prossima stazione.

Se un passeggero risulta sospetto, non c’è possibilità di «farlo scendere» come su un Frecciarossa. L’aereo parte e resta isolato per centinaia o migliaia di chilometri. Le regole dovrebbero riflettere questa evidenza, non ignorarla. Peraltro quanto si risparmia in termini di tempo se si rinuncia al controllo che viene effettuato al gate per assicurarsi che carta di identità o passaporto coincidono con la carta di imbarco? Qualche minuto?

Codacons, Uiltrasporti e Assoutenti hanno già espresso forti dubbi. Si teme che chiunque possa imbarcarsi con la carta di un altro, aggirando i controlli e annullando ogni verifica identitaria. I rischi sono concreti: dal semplice bagaglio imbarcato a nome altrui a scenari ben più gravi legati alla sicurezza. «Vogliamo capire quale sia l’iter seguito per arrivare a tale decisione», chiede il Codacons. E non è una domanda da poco.

Il presidente di Enac, Pierluigi Di Palma, rassicura: gli aeroporti sono «luoghi protetti» e i filtri di sicurezza, visibili e invisibili, restano attivi. Ma queste garanzie si basano su una fiducia cieca in sistemi che, per loro natura, non possono coprire ogni varco. È noto che il punto debole della sicurezza spesso non è la tecnologia, ma l’elemento umano. E senza un controllo d’identità al gate, l’errore – o l’abuso – è dietro l’angolo.

È vero: la carta d’identità continuerà a essere richiesta ai metal detector e potrà essere esibita su richiesta delle forze dell’ordine. Ma in certi aeroporti, soprattutto d’estate al Sud, quando il traffico è congestionato, quei controlli possono essere sporadici in rapporto alle persone. Se al momento di salire sull’aereo manca un secondo filtro, se manca l’ultima verifica incrociata, si apre una breccia. E in tempi di crisi geopolitica questa leggerezza può diventare fatale: che succede se a bordo sale un terrorista che si è imbarcato attraverso un prestanome?

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