Ucraina, solo parole. E la guerra non si ferma

Mentre Russia e Ucraina portavano a compimento (l’ultimo capitolo con 307 soldati per parte) lo scambio di prigionieri di guerra “mille per mille”, considerato l’unico frutto positivo degli incontri di Istanbul, tutto intorno succedevano molte cose.

I russi continuavano ad ammassare truppe nelle regioni di Kursk e Belgorod, in quella che molti considerano la preparazione di un’offensiva estiva contro le città ucraine di Kharkiv e Sumy. Poi lanciavano tre ondate di droni contro Kiev. Gli ucraini rispondevano con centinaia di droni, a decine anche contro la capitale Mosca. Un attacco abbastanza serio da far decollare da Mosca una dozzina di aerei governativi per evacuare verso Kazan e Samara il gotha politico russo, e da provocare un incidente che poteva essere clamoroso: mentre i droni ucraini si dirigevano verso la base aerea russa di Migalovo (presso Tver’), la contraerea russa sparava contro uno dei suoi aerei passeggeri, per fortuna senza colpirlo. Infine, i russi lanciavano dagli aerei e dalle navi del Mar Nero decine di missili balistici contro l’Ucraina, accompagnandoli con centinaia di droni. A Kiev si sono riviste le folle rifugiate nella metropolitana, il che non ha evitato un pesante bilancio: 12 morti e una sessantina di feriti. E nel momento in cui scriviamo, a Mosca sono chiusi gli aeroporti, sempre a causa del pericolo droni.

Il tutto senza citare una serie di altri sviluppi sul terreno: le manovre dell’esercito russo che sta ormai per circondare Pokrovsk, uno dei residui bastioni della difesa ucraina; o i russi che di villaggio in villaggio sono ormai arrivati a pochissimi chilometri dal confine amministrativo della regione di Donetsk. Com’è dunque possibile che si parli così tanto di negoziati e di cessate il fuoco e, nello stesso tempo, la guerra proceda con intensità e spietatezza anche maggiori di prima?

Quello che ci inganna è il ruolo di Donald Trump, con la sua promessa di far cessare questa guerra. Il presidente Usa però l’ha detto più volte: il conflitto è affare degli europei, a lui interessa soprattutto disimpegnare gli Stati Uniti per rivolgere l’attenzione ad altri problemi. Conta ovviamente il fatto che l’alleanza Russia-Cina, generata dall’interruzione dei rapporti tra Mosca e l’Occidente, sia oggi un problema per gli interessi globali del suo Paese. Abbiamo quindi cominciato a pensare che, dietro le pressioni della Casa Bianca, si stesse aprendo un negoziato tra Russia e Ucraina. Difficoltoso, aspro, sempre a rischio, ma un negoziato.

Purtroppo non è così. Ciò a cui assistiamo è tutt’altro. Ci sono due negoziati: uno degli Usa con l’Ucraina, l’altro degli Usa con la Russia. Solo se e quando questi due giungeranno all’esito desiderato dai protagonisti (Trump, Putin e Zelensky), potrà forse cominciare il negoziato che a noi sta più a cuore, quello tra Russia e Ucraina. La trattativa tra Trump e Zelensky è più avanti e ha già portato alla firma dell’accordo sulle “terre rare” che, al di là dell’aspetto tecnico-minerario, vuol dire questo: gli Usa mettono il loro piedone nel futuro politico ed economico dell’Ucraina e, in cambio, garantiscono armi e denari per dieci anni. Questo perché l’accordo prevede che, non avendo l’Ucraina i 50 miliardi di dollari da investire come da accordo, saranno gli Usa a provvedere, con investimenti o forniture belliche. Dieci anni perché, secondo gli esperti, quei giacimenti non produrranno reddito per almeno un decennio. Tutto a posto, quindi? No, perché questo a Zelensky non può bastare, dopo tanta morte e sofferenza gli ucraini non possono accontentarsi di un trattato. Deve poter dire loro che in qualche modo hanno sconfitto l’aggressore. Che sia il Donbass, la Crimea o altro, Zelensky chiede a Trump di strappare qualcosa alla Russia. Per l’Ucraina e anche per il proprio futuro politico.

A Putin gli Usa hanno già spiegato la loro offerta: la pace in cambio di un alleviamento delle sanzioni e di un parziale reintegro della Russia nei circuiti economici occidentali. Al Cremlino tutto questo interessa assai più che conquistare un altro 3 o 5% di territorio ucraino. Però la dottrina politica russa dice: niente Nato e niente filo Nato in Ucraina (e in Georgia). Ed è questo che Putin vuole ottenere da Trump.Come si vede, c’è ancora molta strada prima di arrivare a una vera e seria trattativa tra Mosca e Kiev. Il problema è politico e, non è difficile notarlo, è sempre quello dal 2014, dalla crisi seguita all’Euromaidan in Ucraina. Constatazione che dovrebbe far venire sensi di colpa enormi a un’intera generazione di dirigenti politici, da Washington a Mosca passando per Bruxells, Parigi e Berlino.

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