Un secondo mandato quali sfide per meloni

Prima o poi, dovevano pur affacciarsi delle nuvole sull’orizzonte del governo. Anzi, sono arrivate fin troppo tardi. In un Paese in cui la durata media degli esecutivi è intorno all’anno e mezzo, era strano che tutto filasse liscio alla Meloni. Anche volendo mettere a confronto il caso dell’attuale governo con altri guidati da premier di successo (Renzi) e di compromessi (Conte), non solo esso vanta una durata maggiore, ma anche, tutto sommato, gode di una salute ancora buona. Dopo due anni e mezzo, FdI è addirittura su percentuali più alte del 2022 (circa 30% rispetto al 26%) e la premier riesce a mantenere un buon gradimento: circa il 41%, lo stesso d’inizio legislatura. Con buona pace dei numeri, le prospettive del governo non sono, però, così rosee. Ci sono anzitutto le frizioni, sempre più frequenti e aspre, interne alla maggioranza e, quel che preoccupa, non occasionali. Da qualche tempo non c’è dossier che non veda Forza Italia e Lega disporsi su fronti opposti: guerre (Ucraina, Gaza, Iran), politica estera (rapporti con Ue, Russia di Putin, America di Trump), riforme istituzionali (terzo mandato per presidenti regionali), interventi sul fisco (riduzione aliquota Irpef, pace fiscale), cittadinanza per immigrati (Ius Scholae), temi etici (fine vita).

A complicare non poco la vita del governo ci sono poi gli inciampi e le difficoltà che incontra sulla sua strada. Fino alla rielezione di Trump, Meloni riusciva a compensare in qualche modo l’inerzia del suo governo in tema di riforme con il suo attivismo in politica estera. Con l’irrompere del ciclone Donald, altro che fungere da ponte tra Europa e Usa. Ha cominciato a muoversi con maggiore cautela e notevole imbarazzo. Mantenere un equilibrio tra Vecchio e Nuovo continente, col timore incombente di perdere in ogni momento la sponda di Washington o di Bruxelles, è diventata un’acrobazia nel vuoto spinto che l’amico Trump s’industria a crearle un giorno sì e l’altro pure. Motivi del contendere tra la prima potenza mondiale e le maggiori democrazie europee sono molteplici e di peso: dazi, sostegno all’Ucraina, eccidi di palestinesi, solidarietà ad Israele dopo che ha scatenato la guerra contro l’Iran. Se lo scenario internazionale s’è fatto ostico, non è che quello interno sia rose e fiori. Liste di attesa nella sanità, perdita del potere d’acquisto dei salari, carrello della spesa sempre più caro, flessione dell’export, riarmo: questi i dossier aperti sul tavolo del governo, solo per citare i più spinosi.

Seri problemi nella gestione delle sfide fanno pendant con seri problemi sulla strada delle grandi riforme promesse e subito arenate: premierato, autonomia regionale e (vedremo presto che fine farà) la riforma della giustizia in discussione in Parlamento. Con la grande manifestazione organizzata a Roma alla vigilia del voto referendario, l’opposizione ha accarezzato l’idea che lo sfratto di Meloni non solo fosse possibile, ma anche imminente. Ora, tutto sembra tornato invece in alto mare. La premier s’è a tal punto rinfrancata da non nascondere che punta al secondo mandato. E, questo, nonostante i problemi che si trova a dover affrontare, gli handicap che accusa la sua compagine ministeriale, le drammatiche partite aperte in campo internazionale. Se riuscisse a fare il bis, potrebbe vantarsi di essere una felice eccezione nel contesto delle democrazie occidentali. Sono tempi infatti nei quali il governo, con buona pace di Andreotti, logora proprio chi ce l’ha. In Germania, in Inghilterra, in Polonia, negli Usa, che fossero di destra o di sinistra, all’appuntamento elettorale i governi uscenti hanno dovuto lasciare. Se riuscisse, offrirebbe anche un serio motivo di riflessione all’opposizione. Questa, pur in presenza di condizioni piuttosto favorevoli, non sarebbe riuscita, al contrario delle opposizioni di altre democrazie, a sfrattare il governo uscente. Forse, la riflessione andrebbe fatta anche dalla minoranza del Pd che sembra stare scomoda, ma che tace, incapace di un sussulto d’orgoglio.

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