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Giovedì 20 Marzo 2008
Andreotti: Moro il giorno
peggiore della mia vita
Intervista al senatore a vita Giulio Andreotti sul rapimento e sequestro di Aldo Moro, avvenuto trent'anni fa. "Io - ricorda Andreotti - quel giorno dissi ai miei figli: se capita a me dovete assolutamente accettare e non chiedere nessuna deroga".
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Trent’anni dopo il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, una riflessione su come sono cambiate la politica e la società con uno dei protagonisti della storia di allora, il senatore a vita Giulio Andreotti, nel 1978 capo del Governo.
A 30 anni dal caso Moro lei come racconterebbe questa pagina di storia italiana ad un ragazzino del liceo, che in genere ha un’idea molto vaga e confusa della storia recente del Paese?
Lo ricordo come il giorno peggiore della mia vita perché l’emozione che provai fu enorme: con Moro non c’era solo comunanza politica ma c’era un rapporto che andava molto più lontano. Io ero stato suo successore nella Presidenza della Federazione Universitaria Cattolica, proprio su proposta di Moro e di monsignor Montini. A parte l’orrore per la cattura e la terribile scoperta del cadavere, che fu indicibile, c’era quindi un legame che andava molto al di là del collegamento politico.
Com’è cambiato dalla vicenda Moro in poi il rapporto degli italiani con la politica?
Oggi la politica è diversa, ci sono naturalmente meno contrapposizioni. Il grande cambiamento è stato l’ammainabandiera al Cremlino dell’Urss. Non essendoci più l’Unione Sovietica non c’è più quella spaccatura in due del mondo che c’era prima.
Moro era un uomo nuovo, di frontiera. Si può dire che l’unione di anime di sinistra e cristiane di centro si sia realizzato solo 30 anni dopo con il Partito democratico?
Moro vedeva, io credo, le formule al servizio di un programma. Credeva veramente in una necessità di elevazione sociale del popolo, di correzione delle troppe ingiustizie, dei dislivelli enormi che ci sono all’interno anche di ogni singola nazione. Quindi questo senso di giustizia cui era stato formato nella scuola montiniana, della Federazione Universitaria Cattolica e dei laureati cattolici fu interpretato bene da Moro in ambito politico, purtroppo la sua vita fu troncata così.
Ma secondo lei questo progetto si sta concretizzando solo ora con il Partito Democratico?
Ogni cosa ha il suo tempo. Il Partito Democratico come tale è in formazione. Io le cose preferisco giudicarle a consuntivo che non a preventivo.
In un’intervista a «Il Tempo» di qualche giorno fa, Cossiga ha detto «Quando io dico che ho concorso ad ammazzarlo è vero, anche se non sono un assassino. A differenza di altri io sapevo benissimo che la linea della fermezza, salvo un miracolo, avrebbe portato alla sua morte. Anche Andreotti lo sapeva. Ma sperava più di me». È d’accordo con quest’affermazione?
Io quel giorno dissi ai miei figli: se capita a me dovete assolutamente accettare questo e non chiedere nessuna deroga perché se in quel momento si riconosceva trattando la legittimità delle Brigate, cioè riconoscendole come partito, si faceva un tradimento anche di carattere morale oltre che politico.
Quali affinità e quali differenze riscontra fra nuove e vecchie Br?
Finora c’è una minore violenza; probabilmente anche il mondo all’esterno è cambiato e, per quanto fosse parziale, il collegamento con l’URSS non c’è più.
Oggi si può parlare di una "questione morale" in Italia?
Le questioni morali ci sono sempre. L’essenziale è che siano fatte in buona fede perché c’è molta gente che parla di moralità ma non si guarda allo specchio.
Qual è il posto di Moro nell’Italia costituzionale?
Moro era stato uno degli autori anche del testo della Costituzione quindi ha dato più di altri a volerla attuare non solo nella formulazione ma anche nel concreto cioè creando sul serio radici più forti alla democrazia e alla giustizia sociale.
E quello di Andreotti?
Io sono un poveretto… Non m’ hanno nemmeno ammesso al corso di ufficiale, ho dovuto fare il soldato in sanità. Però, comunque, sopravvivo.
Silvia Ortoncelli
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