
Così il primo giorno di scuola è arrivato anche quest’anno. E’ un inizio che arriva in momenti diversi per i vari istituti, sono lontani i tempi in cui era il 1 ottobre a decretare la fine delle vacanze. In ogni caso, il via al nuovo anno scolastico da noi è stato dato, con tutti i problemi che questo comporta.
Perché se sono cambiati modi e tempi dell’avvio, un dato è rimasto costante ed è la difficoltà di iniziare senza problemi. Minata all’interno da carenze organizzative plurime, la scuola italiana soffre da decenni di una precarietà ben rappresentata dai docenti che rimbalzano da una cattedra all’altra alla faccia della continuità didattica. Questo accade puntualmente anche da noi. Il primo giorno di scuola si segnala per quei 150 posti vacanti che saranno coperti da supplenti annuali, che, dunque, procrastineranno la precarietà endemica della nostra scuola.
Altro particolare molto preoccupante riguarda i 64 posti degli insegnanti di sostegno; ne sono stati assegnati 35 ma di questi solo quattro hanno accettato il nuovo incarico. Se poi aggiungiamo che scarseggiano anche i bidelli e mancano tre presidi, il gioco è fatto. Siamo insomma alle solite, nonostante la «buona scuola».
Questi sono i problemi organizzativi ma l’inizio dell’anno scolastico segna anche l’esordio di un percorso educativo ed istruttivo che da qualche tempo mostra le lacune di una struttura che non è al passo con i tempi. Non bastano i computer ed i tablet a rinnovare una scuola italiana ancora lontana dagli standard che meriterebbe. Nonostante tutte le critiche possibili al corpo insegnante, continuo a pensare che se la scuola italiana va avanti, il merito va assegnato proprio ai docenti, la cui buona volontà mette lo cosiddette pezze ad un sistema malridotto.
So che dirlo in un periodo come il nostro è perlomeno utopico, ma se sulla scuola non si investe, poco o nulla cambierà. Non si può predicare l’avvento della meritocrazia se parallelamente non si dà alla scuola ciò che merita. Nella scuola vanno investiti soldi ed energie se vogliamo che i nostri ragazzi ritrovino il gusto di stare sui libri ed abbiano l’ambizione di sapere oltre all’inglese anche l’italiano.
La nostra scuola è ingessata da troppo tempo. Il mondo cambia, tutti o quasi i genitori lavorano, e noi ci limitiamo a tener aperte le scuole il mattino, consegnando i ragazzi “alla strada” per il resto della giornata. Nelle nostre scuole continuano ad essere ignorate la musica, lo sport, il cinema ed il teatro; i collegamenti con il mondo del lavoro sono pochi; un accurato lavoro di orientamento e di interconnessione tra i vari istituti latita.
Sappiamo tutti che il futuro di un Paese si misura da quanto investe sui giovani, dunque la scuola dovrebbe essere al primo posto nei pensieri di chi governa. Vogliamo sperare che questo miracolo accada, ma abbiamo fortissimi dubbi.
In un momento storico come il nostro in cui anche nel Lecchese la disoccupazione giovanile è alta, sarebbe fondamentale che la scuola aiutasse i ragazzi ad acquisire una coscienza precisa delle proprie attitudini e consentisse loro di avere un contatto approfondito con il mondo del lavoro.
Questo o non accade o avviene solo in modo episodico, per cui spesso i banchi di scuola sono un parcheggio per rinviare un inserimento nella società oggi problematico.
Così anche questo «primo giorno di scuola» rischia di diventare il simbolo di un’opportunità svilita dalle asfissie di un sistema, a cui nessuno sembra voler metter mano in modo responsabile.
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