
Uscendo dai canoni della cordiale formalità, che normalmente permea incontri istituzionali al Quirinale, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è tornato sul tema delle carceri.
E lo ha fatto nel modo più chiaro possibile, davanti ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e della Polizia penitenziaria. «I luoghi di detenzione non devono trasformarsi in palestra per nuovi reati, in palestra di addestramento al crimine, nei luoghi di senza speranza ma devono essere effettivamente rivolti al recupero di chi ha sbagliato – ha detto il presidente –. Ogni detenuto recuperato equivale a un vantaggio di sicurezza per la collettività oltre ad essere un obiettivo costituzionale».
In particolare il presidente, come già nel discorso di fine anno, ha fatto riferimento al tragico aumento dei suicidi, che non riguarda solo i detenuti, ma anche gli agenti di polizia penitenziaria.
«Si tratta di una vera emergenza sociale sulla quale occorre interrogarsi per porre fine immediatamente a tutto questo» ha detto il capo dello Stato. Sono le stesse parole di sei mesi fa. Da allora, nelle carceri italiane, si è dipanata una sequenza di episodi più da film dell’orrore che da Paese civile.
Purtroppo, niente di nuovo sul fronte caldo delle galere nostrane: Prato, Torino, Gorizia, Ferrara, sono solo le ultime tragiche tappe di una geografia dell’abuso o della violenza, dove la giustizia è finita spesso calpestata dalla negligenza, dall’omissione, quando non dalla complicità con quel meccanismo che finisce, come ha ricordato Mattarella, per diventare “palestra” per nuove attitudini criminali.Una condizione che non trova alternative in un sistema carcerario perennemente sotto stress, con celle torride e sovraffollate e personale ormai strutturalmente sotto organico. Un sistema che, complice una cultura legislativa che sembra aver dimenticato il dettato costituzionale del carcere come “extrema ratio”, è arrivato a ospitare oltre 62mila detenuti, su una capienza regolamentare di poco più di 50mila.
Per avere un’idea di quanto incida una singola legge sul tasso di riempimento delle carceri, basta dare un’occhiata all’ultimo Libro bianco sulle droghe, pubblicato pochi giorni fa. Sono 13.354 i reclusi che scontano pene legate al piccolo spaccio. «Complessivamente sono 34,1% , quasi il doppio della media europea (18%) e ben oltre quella mondiale (22%)». Vengono in mente le parole pronunciate da Papa Leone nel giorno della Giornata mondiale contro la droghe: «Troppo spesso, in nome della sicurezza –ha detto il Papa – si è fatta e si fa la guerra ai poveri, riempiendo le carceri di coloro che sono soltanto l’ultimo anello di una catena di morte. Chi tiene la catena nelle sue mani, invece, riesce ad avere influenza e impunità».
In un clima di generale disinteresse verso il pianeta carcere, dominato da un preoccupante populismo penale, un muro di pregiudizi contro il quale le parole di Mattarella si stemperano, purtroppo, in un dibattito asfittico sempre uguale a se stesso, c’è un’oasi di impegno silenzioso che non fa quasi mai notizia, ma è come manna per chi si trova al di là delle mura di cità di via Gleno. Quella dei tanti operatori e volontari che, nonostante le difficoltà, ogni giorno, si rimboccano le maniche e varcano il cancello delle Case circondariali per cercare di rendere lettera viva il dettato costituzionale.
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