
“Le dodici fatiche di Asterix” è il titolo di un film d’animazione del 1976 con protagonista il celebre personaggio inventato dal disegnatore Albert Uderzo e dallo sceneggiatore René Goscinny.
La trama è semplicissima: Giulio Cesare è furibondo perché non riesce a piegare un indomabile villaggio bretone e temendo che sia abitato da dèi chiede al capo dei ribelli Abraracourcix di sottoporsi a dodici sfide, tipo quelle di Ercole. Se le supererà, consegnerà loro tutto l’Impero Romano, se invece fallirà dovrà sottomettersi per sempre al suo potere. I Galli affidano l’incarico ad Asterix (invincibile quando beve la pozione magica) e Obelix (invincibile sempre, visto che da bambino è finito nel pentolone del druido Panoramix).
Potete immaginare cosa succede da lì in poi. I due guerrieri fanno polpette a forza di cazzotti e ceffoni di lottatori ellenici, giavellottisti, sacerdotesse, maghi, belve, furie, coccodrilli, mostri e fantasmi. Una passeggiata di salute per i nostri supereroi. Che però vanno in crisi quando devono ottenere il “lasciapassare A-38” in una specie di ministero detto “la casa dei folli”. Lì la loro forza va in frantumi, le mezze maniche li mandano in un ufficio, poi in un altro, poi in un altro ancora e il dottore è fuori stanza e torni nel pomeriggio e salga la scala e scenda la scala e prenoti l’appuntamento e torni all’ufficio di prima e firmi la pratica e rifaccia la pratica. Alla fine vanno fuori di testa. Il Moloch burocratico, il cosiddetto Stato Profondo, è più forte di tutti i giganti della terra messi insieme e alla fine Asterix, solo abbandonando i pugni e ragionando allo stesso modo dei burocrati, “diventando” come loro, riuscirà a superare la prova.
Nessuno può sconfiggere la burocrazia, è questa la lezione dello spassosissimo cartone animato. La burocrazia, la complessità, l’incomprensibilità kafkiana del mondo sommerso dei codici, dei vincoli, dei lacci e delle consuetudini è un’entità metafisica che governa il mondo e ogni volta che arriva un rivoluzionario che promettere di farla a pezzi, di aprire il Palazzo come una scatola di sardine, di far crollare lo Stato Padrone e bla bla bla viene velocemente masticato, triturato e sputacchiato in un angolo remoto della storia.
È successo così qualche tempo fa a Beppe Grillo, che a un certo punto sembrava più forte e invincibile di Asterix, è successo lo stesso in questi giorni a Elon Musk, che nei mesi scorsi sembrava più forte e invincibile di Obelix, anche se di certo molto meno simpatico. All’interno dello spettacolo circense che sta andando in scena alla Casa Bianca - ed è davvero comico vedere come i media di destra cerchino di nascondere le mani in faccia tra i loro leader e come quelli di sinistra tentino di riappropriarsi del santino di Musk, che prima era democratico, ora repubblicano e domani, chissà, forse di nuovo democratico - è questo l’aspetto più interessante dal punto di vista del costume, dell’antropologia culturale delle società occidentali. Ogni tanto sbuca fuori dal ventre molle della nazione, quello che pulsa dei sentimenti più sotterranei e più grossolani, ma anche più veritieri, un tale che dice che adesso basta, che è ora di finirla, che la gente è stanca, che la gente non ne può più, che la gente non arriva alla fine del mese e che bisogna cacciare le caste, le cricche, i poteri forti, le oligarchie e lorsignori e che ci vorrà un attimo a spazzare via tutto e ridare finalmente il potere al popolo, alla gente, all’uomo bianco abbandonato e tutto il resto delle fregnacce che ingorgano la comunicazione globale da anni e poi, invece, non succede niente. Non succede mai niente. E continua a non succedere niente. I rivoluzionari vengono cacciati a pedate nel sedere oppure diventano uguali a quelli che odiavano. Avete presente “La fattoria degli animali”?.
Il villaggio di Asterix si illude, grazie alla pozione magica - ognuno ha la sua - e quindi alla sua “novità”, alla sua “diversità”, di resistere all’Impero, di minarne le basi e di svuotarlo dall’interno, ma non è così che funziona. Le lobby degli statali, dei parastatali, dei garantiti a vita, degli inamovibili, dei pesci pilota del deficit, del debito, delle protezioni, delle sovvenzioni, delle cooptazioni, sono sempre più furbe e agguerrite dei visionari di cui sopra. Non solo in Italia, nota repubblica delle vongole, ma anche negli States, da sempre patria del rischio e della libertà. Alla fine, al netto della demagogia stracciona, dell’incultura di base e delle mosse da giocatore di poker di serie B, nella politica di Trump non c’è niente di rivoluzionario: i dazi sono protezione, la sanità pubblica è protezione, le pensioni sono protezione, il no agli immigrati è protezione e la base popolare che lo vota - basso livello sociale, basso livello economico, basso livello culturale - ha bisogno innanzitutto di protezione.
Il contrario di quello che ha in mente Musk, che proprio per questo motivo non poteva far altro che sfracellarsi - come Obelix che dà di matto nel ministero – proprio perché è tutt’altra cosa rispetto a quelli che hanno eletto Trump. Lui è liberista. Anzi, è iperliberista. Anzi, è addirittura oltre la lezione di Reagan e della Thatcher, che sono comunque prodotti di un’altra era geologica. Lui non crede neppure più nella democrazia in quanto tale, ma non perché sia un dittatore - profilo troppo complesso e scespiriano rispetto a un ottuso di genio come Musk - ma perché la sua fede assoluta, messianica nelle tecnologie lo porta al di là della politica, al di là del Novecento, al di là del mondo conosciuto. In fondo, non era lo stesso sogno di Grillo e Casaleggio? Un nuovo regno di democrazia assoluta - e quindi inesistente - che superasse la storia e portasse l’umanità nella metastoria.
Un mondo senza intermediazioni, un mondo senza lavoro, un mondo di solo tempo libero. Soprattutto un mondo ridicolo. Perché è il ridicolo l’unica unità di misura del mondo. Qualcuno lo dica al cervellone della Tesla.
@DiegoMinonzio
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