
In una celeberrima pagina de “Le Confessioni”, una delle pietre d’angolo della nostra cultura, Agostino d’Ippona ricorda un episodio della sua adolescenza che lo ha segnato per sempre.
Assieme a un gruppo di amici ruba delle pere dall’albero di un contadino senza alcun motivo, senza essere spinto né dalla fame né dall’interesse né dalla vendetta. Oltretutto, le pere non sono neppure buone e alla fine le butta quasi tutte in un recinto per darle in pasto ai maiali. Un fatto di una banalità assoluta che però - il diavolo si nasconde sempre nel particolare - gli scoperchia un mondo perché per la prima volta lo fa guardare dentro di sé. E guardare dentro di sé gli fa paura. Agostino ha capito che la sua natura - e quella di tutti gli esseri umani - è segnata dal male, dal gusto del male per il male, dal male gratuito, dal male innato, dal male motore invisibile delle proprie azioni.
È una riflessione di profondità clamorosa, sconvolgente, antica, profetica e modernissima al contempo, non a caso “Le confessioni” sono la prima autobiografia della storia della letteratura, anche se non è “solo” letteratura, ma anche il primo romanzo psicanalitico della storia della letteratura, anche se non è “solo” un romanzo. Un libro gigantesco, che ha influenzato dozzine di autori, da Petrarca e Dante a Rousseau e Dostoevskij, per non parlare di Freud e di infiniti altri. È comprensibile Lutero senza Agostino? È comprensibile il nostro Manzoni senza il giansenismo agostiniano? E il “Cuore di tenebra” di Conrad? L’abisso esplorato e divulgato dal padre della Chiesa e dell’Occidente consiste nella scoperta dell’impotenza dell’essere razionale di fronte agli abissi dell’anima, della psiche, di quell’incomprensibile enigma che è l’uomo, che cova dentro di sé un essere sconosciuto e mostruoso, sconosciuto soprattutto a se stesso, che solo e soltanto la Grazia può affrontare, spetrare e sconfiggere.
Ora, potrebbe sembrare sciocco utilizzare questa chiave di lettura così impegnativa per decrittare un risibile, ma emblematico, fatto di cronaca accaduto nel nostro territorio nei giorni scorsi. E cioè la vicenda di quell’assessore alla famiglia, ai giovani e alla comunicazione del Comune di Lecco, paradossalmente in prima linea nella lotta al cyberbullismo, che si è dimessa a causa di un violento commento sui social, pubblicato in forma anonima, contro un cittadino che aveva segnalato la presenza di alcune piastrelle rotte su un marciapiede. La notizia non sta tanto nel fatto, ovviamente - la cloaca dei social straborda di insulti, diffamazioni, livori, rancori e frustrazioni - ma che questo coinvolga una donna rispettabilissima, attenta al sociale, moderata, stimata da tutti, insomma, l’esatto contrario del classico berciatore da Facebook. E quindi è anche poco interessante tutta l’inevitabile polemica politica scatenata dalle opposizioni, che l’hanno spinta giustamente a presentare le proprie dimissioni e il sindaco di Lecco giustamente ad accettarle. Non poteva che finire così, vista la gravità della violazione del ruolo istituzionale dell’assessore.
Quello che è interessante - e drammatico - è come sia potuto succedere, cosa sia scattato nella mente di una persona perbene, di una persona colta e informata, da dove sia scaturito un istinto così illogico, così irrazionale, così primordiale e anche così ingenuo, visto che in pochi minuti l’autore del commento anonimo si è fatto scoprire. Mistero.
Ed è proprio qui che “Le Confessioni” possono venirci in soccorso. Il male - sempre che possa considerarsi “male” un insulto sui social, ma in fondo sì, anche quello è “male” - cova dentro di noi. Tutti. Uomini e donne. Ricchi e poveri. Bianchi e neri. Credenti e atei. Colti e analfabeti. Integerrimi e traffichini. È un dato di natura, una caratteristica fondante del nostro stare al mondo, che può esplodere in qualsiasi momento senza alcun motivo apparente.
Esiste e basta.È quella carica di aggressività innata, di violenza latente che non è figlia dei tempi, signora mia, ma figlia dell’uomo, che non a caso esercita la guerra e il sopruso da tremila anni e andrà avanti a esercitarla per i prossimi trentamila, si accettano scommesse, che noi perbenisti farisei abbiamo cancellato dalla nostra agenda - non siamo tutte suffragette della bontà, dell’amore e della pace nel mondo? - e che invece ci viene sbattuta in faccia alla prima assemblea di condominio - o alla prima riunione di redazione - che se per caso saltasse fuori un bastone o un martello scatterebbe subito la caccia all’uomo.
Forse è questo che è successo al povero assessore del Comune di Lecco. Liberata dalla corazza del conformismo, delle buone maniere e dell’educazione, entrata, probabilmente a sua insaputa, nella giungla, nella foresta, nella savana dei social media, dove ti illudi di essere libero di poter fare ciò che vuoi e, quindi, di scrivere la prima cosa che ti passa per la mente, ha dato sfogo alla parte più nascosta e aggressiva - e quindi più vera - di sé. Quella di cui un secondo dopo ti vergogni e che cerchi di cancellare subito dalla memoria. Non è così, forse? Non è capitato mille volte anche a noi, quando cerchiamo parcheggio, quando siamo in fila alle Poste, quando la nostra squadra perde all’ultimo minuto, quando il collega si pappa la promozione che meritavamo noi, o che noi pensavamo di meritare, quando nostro figlio non è all’altezza delle nostre ridicole aspettative? Quante volte abbiamo sentito montare dentro di noi il magma dell’ira, la linea d’ombra del livore, il cuore di tenebra, appunto, dell’odio, dell’odio sociale, dell’odio generazionale, dell’odio esistenziale? Cosa scriveremmo, cosa scriviamo, se ci capitasse uno smartphone tra le mani?
Quindi stiamo attenti a sbertucciare troppo l’assessore e ad assestarle il più facile e il più vigliacco dei calci dell’asino. Perché se l’assessore è un mostro, come dicono, allora siamo dei mostri pure noi: dietro l’angolo c’è un albero di pere che ci aspetta.
@DiegoMinonzio
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