
Una soluzione si troverà. Speriamo. Anche perché sarebbe clamoroso, incredibile, mai visto che la città capoluogo debba chiudere l’unico centro sportivo di cui dispone.
Il Bione resta il riferimento di tanti che fanno nuoto, atletica, calcio, tennis e rugby, per restare alla piscina e ai campi, ai quali si aggiungono il palazzetto per basket e volley e la palestra. Nel complesso, il Bione ha almeno un migliaio di utenti. Dai bimbi che fanno i corsi di acquaticità ai pensionati che corrono o giocano a tennis.
Sportivi che da anni – e non è un modo di dire o un’esagerazione – si devono accontentare (verbo corretto?) di strutture fatiscenti ( e anche questa non è un’esagerazione). Più o meno un anno e mezzo fa, scrivevamo che gli utenti degli spogliatoi di atletica erano oggetto a loro insaputa di un esperimento pensato per saggiare la resistenza degli umani, anche di una certa età, in condizioni estreme: docce ghiacciate o bollenti (le opzioni possono essere fisse per l’intera doccia o essere proposte in continua e rapida successione), mai giuste, con il flusso d’acqua che scende ad intermittenza e senza una logica che non sia quella di far esplodere in clamorose imprecazioni chi sta provando a lavarsi, porte rotte e mai sostituite, spifferi d’aria e caloriferi spesso freddi, prese della corrente (per i phon) guaste, condizioni dei bagni che è più igienico non menzionare.
L’esperimento va avanti da anni e qualcuno dei “topi da laboratorio” si è arreso, non si vede più al campo: non vogliamo pensare al peggio, ci auguriamo abbia solo trovato un altro posto dove allenarsi (non per l’eternità).
Comunque, da un anno e mezzo a questa parte la situazione non è cambiata (diciamo così per non infierire). Questo con riguardo agli spogliatoi dell’atletica. Ma anche quelli del rugby non stanno meglio e la scritta azzurra che campeggia in alto “Hic sunt leones” suona come un avvertimento ai giocatori sulle selvagge condizioni in cui dovranno cambiarsi e lavarsi, e non come un incoraggiamento per la partita che li attende. Fuori la situazione non è migliore. Per restare all’atletica, la pista sulle curve e soprattutto nelle corsie interne ha avvallamenti che rovinerebbero la fluidità di corsa anche di quel fenomeno di Bolt. A guardarli i campi di calcio non sembrano granché, ma ci può essere la spiegazione di un loro utilizzo intensivo, mentre il manto erboso del rugby negli anni è migliorato e ora è più che buono.
Abbiamo cercato di descrivere (senza dilungarci) le condizioni del Bione. È così da anni, e non uno o due, ma dieci o quindici. Ed è qui che una domanda sorge: ma possibile che in tutto questo tempo non si sia intervenuti per cercare di porre un argine al degrado? Ci immaginiamo la risposta: non ci sono soldi. È vero, per come è ridotto il Bione può essere solo abbattuto e ricostruito. Ma non ci sono i soldi. Però se il degrado è tale da almeno quindici anni, le varie amministrazioni che si sono susseguite non potevano destinare a bilancio anche solo 10-15mila euro ad anno per gli interventi solo un po’ più in là dell’urgenza? Certo, non sarebbero stati lavori risolutivi, ma toppe per una manutenzione appena oltre i confini dell’ordinario. Ma toppa su toppa, pietra su pietra la situazione non sarebbe franata fino all’attuale che - scritto in modo esplicito – fa vergognare la città: le squadre e gli atleti che arrivano da fuori, cosa possono raccontare del Bione? E per estensione cosa possono pensare di Lecco (che per molti di loro si identifica con il centro sportivo)? Sono domande che meritano risposta e non solo a parole, come la vogliono i tanti utenti del Bione che da anni si allenano in condizioni a dir poco precarie.
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