
L’esito del referendum, con la sonora bocciatura delle riforme costituzionali, porta con sé molti interrogativi. Dire che tutto resta come prima non è verissimo. In particolare c’è una domanda a cui non riusciamo a dare una risposta definitiva: cosa ne sarà delle Province? Ovvero, saranno definitivamente abolite come lasciava presagire il percorso iniziato oppure torneranno a vivere?
La loro abolizione era stata presentata come il primo passo della riduzione dei costi della politica. In concreto oggi sopravvivono a se stesse in un limbo senza chiarezza. La vera beffa sarebbe proprio questa, che continuino a vivacchiare pur non essendo in grado di svolgere le loro mansioni. Dopo il referendum di domenica cosa succederà? Se il principio dell’abolizione nel nome del risparmio poteva anche essere accettato, non si vede che senso abbia non aver deciso a monte chi avrebbe dovuto assumersi le competenze delle province abolite. Si è scelta, invece, una via quanto mai inconcludente, che ha lasciato le province ma solo di nome, visto che sono economicamente nell’impossibilità di operare.
Insomma, attualmente le province ci sono ancora, ma i tagli economici le hanno messe con le spalle al muro. In questi ultimi mesi è emerso il vuoto politico di un’istituzione che non è ancora chiaro se sia stata abolita o no, ma che sicuramente è stata svuotata della sua autorevolezza.
Le province oggi vivono in una Terra di mezzo in cui è arduo capire chi comanda. Sono state spolpate di molte delle loro competenze e quelle che sono loro rimaste – la viabilità e le scuole – sono difficilmente gestibili a causa di tagli economici senza precedenti. Ebbene, la vittoria del no cosa comporterà? Credo che la risposta non sia facile anche perché rischiamo di veder continuare la campagna elettorale appena conclusasi per molti altri mesi.
Già si stanno affilando le armi. Messo in scacco Matteo Renzi ora si tratta di sfidarsi per trovare il successore ed in questo clima da mezzogiorno di fuoco ci sembra improbabile che qualcuno abbia voglia di metter mano ad una istituzione, che sembra destinata a vivacchiare per molto altro tempo. Negli ultimi mesi, complice il referendum, si era anche smesso di parlare di aree vaste, degli accorpamenti multipli di province diverse, che avrebbero dovuto cambiare il volto amministrativo dei vari territori. In effetti, ora come si gestirà il puzzle anche divertente di queste macro province? Il percorso iniziato, almeno a parole (anche troppe per la verità), avrà una sua continuazione o tutto questo sarà rinviato a data da destinarsi?
Vedremo. Capire ora come sarà gestito il tutto non è facile. I sostenitori del no plaudono alla fine del presunto progetto centristico, che avrebbe tolto autonomia ai territori, ma sarà interessante vedere come si gestirà l’apnea latente di una istituzione che ha bisogno di chiarezza. Un episodio come il crollo del ponte ad Annone ha evidenziato tutti i limiti della Provincia attuale e non sarebbe per nulla confortante vederle appassire in quella Terra di mezzo di cui si diceva prima.
Gli italiani hanno detto no alle riforme costituzionali proposte da Matteo Renzi ma adesso decidiamo cosa vogliamo fare delle povere province. Ridiamogli la loro autorevolezza ed i fondi di cui hanno bisogno o stacchiamo definitivamente la spina. Vederle agonizzare è quanto di più triste ci sia e soprattutto è controproducente per i nostri territori di cui erano in passato un organismo importante di coordinamento.
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