
Ottobre e ci risiamo! Un nuovo porto turistico, una nuova multisala, un nuovo Lungolago, un nuovo albergo in Piazza Garibaldi al posto dell’ex Deutsche Bank. Forse è un rituale a cui non sappiamo sottrarci oppure, più ottimisticamente, un desiderio di futuro migliore a cui non vogliamo rinunciare. Eppure è difficile non cogliere sullo sfondo un panorama meno esaltante: il ben più incombente Municipio che manda come edificio allarmanti segnali, il Teatro della Società che a breve dovrà essere chiuso per improrogabili interventi di restauro, la Tommaso Grossi dal tetto infinito che non sarà pronta prima del 2018. Ma per una volta ci sia concesso di tralasciare il macroscopico e quella che, così posta, potrebbe apparire una pretestuosa polemica con le istituzioni, per richiamare l’attenzione dei lecchesi su un fenomeno ben più grave anche se meno appariscente, perché li riguarda come individui e come comunità. Il centro di Lecco fatto di qualche monumento, ma soprattutto di piazze, di vie, di case, di negozi che per decenni ci hanno garantito una qualche forma di riferimento, se non di identità, si va sempre più snaturando per assumere i connotati di uno dei tanti centri commerciali, che già fanno da accerchiante “corona” alla nostra città.
L’esempio di via Roma con la chiusura della “Nuova casa del formaggio” puntualmente sostituita con un negozio di catena, quasi a mettere di fronte neonate esigenze maschili a più consolidate abitudini femminili, e a relazionarle con un analogo punto vendita appena aperto sull’angolo apposto, rappresenta l’ultima tappa di un processo ormai debordante. Sparisce un piccolo negozio specializzato, frequentato per decenni da una clientela popolare e insieme raffinata nel far valere le sue esigenze e nel vederle soddisfatte, e in apparenza si chiude solo un luogo dedicato al cibo, per legittima scelta del commerciante e per mancanza di continuità. Perché allora farne un dramma? Tre vetrine (due su via Cattaneo), anche se entrate da anni nell’immaginario dei clienti, ma persino dei passanti occasionali e frettolosi, mutano destinazione merceologica. È la vita che cambia e si evolve.
Ecco è proprio sulla evoluzione, nello specifico quella del nostro centro storico, che vorremmo far riflettere i lecchesi. Con il voto possiamo scegliere i nostri rappresentanti, ma a maggior ragione con i nostri soldi possiamo sceglierci i luoghi che ci aggradano per quella quotidiana o più diluita attività che chiamiamo “la spesa”. Quello che vogliamo, dove vogliamo. Magari in uno spazio accogliente che invita alla conversazione, allo scambio di battute, all’uso un po’ meno esasperato del nostro tempo. Serve davvero che un bonario conversare sia sostituito da una musica un po’ anonima, salvo che per l’altezza del volume, in un contesto omologato e omologante, Lecco o Milano che sia?
Il piccolo negozio da città di provincia andrebbe difeso dai suoi abitanti come un panda, perché in questi casi essere provinciali non è una vergogna, ma un segno di distinzione, di consapevolezza della propria unicità. E la sopravvivenza dei panda, non illudiamoci, dipende solo da noi. Senza spettatori paganti i cinema non si aprono, ma si chiudono. Senza clienti le piccole attività che ancora resistono rischiano la scomparsa.
Forse, per capire, avevamo bisogno di vedere gli effetti di un sisma vero che cancella in un istante un mondo di storie che si sono da sempre intrecciate. La nostra condizione è ben più fortunata e lontana dalle tragedie di cui siamo stati testimoni, ma quello che oggi Lecco sta vivendo è un sisma strisciante, capace di snaturarne la fisionomia. Centro storico o centro commerciale? La natura qui non c’entra. Tocca solo ai lecchesi scegliere.
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