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Sabato 29 Marzo 2008
Un'idea per il futuro dell'area Icam
Il destino dello stabilimento di Pescarenico
mi è difficile non simpatizzare con l’Amministratore Delegato dell’Icam Plinio Agostoni.
Lo dico da vecchio pescarenichese. Ciò che mi commuove di più è l’idea che Agostoni non pensi a quella realtà di lavoro in termini puramente proprietari. O meglio all’idea di ricavarci una rendita massima possibile dalla vendita di quell’area.
Intravedo dietro il suo approccio il riconoscimento che il territorio non è nostro. Non ci appartiene. E’ un bene comune. Lì disponibile per le generazioni presenti e quelle che verranno.
Certo Agostoni fa riferimento a un’idea di genialità un po’ romantica, che ha dato spesso, nel corso della storia, cattiva prova di sé; basti pensare al “genio di un popolo” che poi si è tradotto in un “uomo solo al comando” che trascinava uomini e donne al macello delle guerre, o più modestamente, rimanendo sul terreno urbano, all’affidamento di vaste aree a qualche “geniale” architetto onusto di fama e di gloria. Di cui anche a Lecco si vedono i risultati non certo lodevoli per la compromissione secolare di parti del nostro territorio.
Se genialità fa il pari con solitudine decisionale e decisionista, bene fa l’architetto Favaron a richiamare alla necessità che l’Amministrazione comunale, custode attiva di un bene comune come è il territorio, inserisca l’ Icam in un progetto di Piano di Governo del Territorio.
Ma deve essere chiaro, sempre interpretando il dott. Favaron, che il presupposto maturi dentro un processo partecipativo con il territorio, con i bisogni e i diritti negati dei cittadini. E non contrattato con gli operatori del territorio. Come se la partecipazione si riducesse a un confronto con le imprese edili. Che è la vera causa del disastro della nostra Città, così come la vs. inchiesta “il lago ferito” ha incontrovertibilmente evidenziato.
Anche l’eventuale partecipazione del Politecnico, i cui progetti spesso rimangono “lettera morta”, deve trovare forza e vitalità dentro la partecipazione con il territorio. Anche il “Poli” deve uscire dalla sua solitudine istituzionale o interistituzionale, per essere riconosciuto come una realtà organica alla città e alla provincia.
Certo mi piacerebbe da parte del dott. Agostoni un ulteriore passo. Riconoscere che il “quartiere” di Pescarenico ha dato molto alla “sua” azienda, non solo come contributo di lavoro, paziente e creativo, ma in termini di ospitalità. Respirare l’aria al cioccolato, ospitare lungo le strade adiacenti gli automezzi dei lavoratori, ha richiesto molta disponibilità.
A fronte di questi e altri disagi, l’Icam potrebbe fare la scelta di fare dono a Pescarenico e alla città di questo spazio. Un dono fatto non a una parte di Pescarenico ma a tutta la Pescarenico. Alla Pescarenico plurale che oggi mescola anche nuove cittadinanze e popoli. Uscendo da una logica di compravendita ma entrando in una logica di reciprocità. Sarebbe esemplare. Per gli anni a venire. Per un diverso modo di intendere la città e la sua convivenza. Mi viene in mente Olivetti e il suo movimento di Comunità.
Chiudo anch’io con alcune suggestioni. Lì vicino ci sono le case Bigoni. Presenti in molti libri di urbanistica come esempio lungimirante di case popolari. Pescarenico è il luogo delle case popolari , delle case del “povero”, delle case “ Fanfani”.
Un’altra suggestione: l’Icam produce cioccolato. Un prodotto “coloniale”. Perché non mantenerne la memoria inserendolo in un progetto di mercato equo-solidale e di economia della solidarietà, e dentro un luogo-percorso-incontro di cultura della pace e della comunicazione transculturale ?.
E infine !. “Le dolcezze del lago di Como”: così si è fatta conoscere l’ Icam. In riva all’Adda, nel punto-luogo più struggente del romanzo manzoniano che ci è rimasto. Perché non farne un museo vivente delle acque e dei monti. Un percorso genealogico e geologico, all’ombra di un altro concittadino: Stoppani.
Per riscoprire che la terra non è nostra. E’ qui, per chi deve ancora venire.
Alessandro Magni, Lecco
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