I maestri di Ferrero nell’ “Album di famiglia”

Nel nuovo “romanzo famigliare” dello scrittore, ritratti dal vivo dei grandi protagonisti del Novecento. Dieci categorie, da Eco a Elsa Morante, da Montale a Bobbio, un viaggio pieno di ispirazione e fascino

Una famiglia speciale. Una famiglia, come la definisce lo scrittore Ernesto Ferrero, «bizzarra, sorprendente, eccessiva, dispersa, perfino conflittuale, come tutte, ma straordinaria, coesa nelle stesse passioni, nello stesso sentire».

Una famiglia composta dai prediletti – due soltanto – Italo Calvino e Primo Levi, dai capotribù come Giulio Einaudi o Vanni Scheiwiller, dai padri nobili come Cesare Pavese ed Eugenio Montale e così via.

In libreria

Sono le storie di questa famiglia «ramificata» a comporre il «romanzo famigliare» che, da martedì 18 ottobre, è disponibile in libreria, l’ultima fatica dello scrittore torinese con un pezzo di cuore a Teglio, Ernesto Ferrero, intitolato “Album di famiglia.

Maestri del Novecento ritratti dal vivo”, uscito per Einaudi. Trecentoventi pagine di ritratti autentici, densi di affetto e stima, fra l’allegria e la commozione di uomini e donne che, con Ferrero, hanno condiviso l’amore per la scrittura, la lettura, la letteratura, la cultura, le arti in senso lato.

Ma anche il senso del lavoro fatto con passione, divertimento, gioco e gratificazione. «Abbiamo lavorato tanto – dice lo scrittore nell’introduzione -, ma nessuno ha mai pensato al labor latino, al senso di fatica, pena, sforzo, sofferenza che si ritrova nel francese travail, nello spagnolo trabajo, nel tedesco Arbeit. Il lavoro era crescita personale e collettiva, scoperta di mondi sconosciuti e libertà».

Ferrero, d’altro canto, ha molto scritto su di loro: maestri, padri e fratelli elettivi, amici, compagni di lavoro e di viaggio, «i tanti che avevo avuto il privilegio di incontrare entrando nella casa editrice Einaudi nel 1963, e poi in altre ancora. Lavorando con loro, imparando da loro, sono diventati parenti stretti, presenze vive con cui dialogare».

Ed ecco che ha riaperto le grosse scatole dei ritagli, dei dattiloscritti, delle lettere e delle cartoline – attingendo ovviamente anche alla memoria, stando attento a che questa non si comporti troppo da scrittore … - per riordinare i pezzi di queste storie intrecciate, perché di fatto ogni storia è fatta di tante storie contigue.

«L’effetto finale è quello di una rete, dove anche la solitudine – scrive -, habitat naturale dello scrittore, diventa nodo, e la singola voce fa parte di un coro». Con un’indicazione per il lettore: questo romanzo, che è un romanzo famigliare, non ha un finale: è il romanzo che ogni generazione è chiamata a riscrivere.

Dieci categorie

Dieci le categorie in cui quarantacinque Maestri del Novecento sono stati suddivisi secondo affinità più o meno evidenti, sottolinea l’autore, o soltanto immaginarie.

Aprono la carrellata “I prediletti” Italo Calvino e Primo Levi, seguiti da “I capotribù” Giulio Einaudi, Giulio Bollati, Paolo Boringhieri, Luciano Foà, Erich Linder, Vanni Scheiwiller, Elvira ed Enzo Sellerio, Inge Feltrinelli, Livio Garzanti, Roberto Calasso nella convinzione che l’editore-totem-capobranco sia «uomo di idee chiare, siano esse l’identificazione delle nicchie elitarie o lo conquista di mercati di massa».

Fra “I padri nobili” o padri fondatori, punti di riferimento, tutti diversi fra loro, troviamo Cesare Pavese, Eugenio Montale, Norberto Bobbio, Massimo Mila, Vittorio Foa, Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern.

“Gli zii sapienti” sono Cesare Cases e Giuseppe Pontiggia, “Le signore di ferro” - donne rispettate e ammirate, dalla corazza di tartaruga indosso - Natalia Ginzburg, Elsa Morante, Lalla Romano e Chichita Calvino. Ma in una grande famiglia ci sono anche “Maghi e funamboli”, prestigiatori che sanno combinare materiali e linguaggi diversi: Gianni Rodari, Bruno Munari, Fruttero & Lucentini, Tullio Regge e Guido Ceronetti. “Cari agli dei”, perché venuti a mancare troppo presto, sicuramente Beppe Fenoglio, Sergio Atzeni e Daniele Del Giudice.

Gli inquieti

E ancora “Gli inquieti” - fermo restando che «la letteratura è geneticamente inquieta, è chiamata a formulare in modo nuovo le domande di sempre, a non accontentarsi delle risposte provvisorie che di volta in volta si dà» - sono Goffredo Parise, Oreste Del Buono, Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo e Gianni Celati; “Compagni di banco” Roberto Cerati, Paolo Fossati, Nico Orengo per i quali «i libri sono un mezzo per arrivare agli uomini».

Si conclude con i “Mattatori” Renato Guttuso, Pier Paolo Pasolini, Cesare Garboli e Umberto Eco,.

Quelli che «hanno con il loro pubblico una confidenza quasi carnale, ne intuiscono la sensibilità e le emozioni, lo blandiscono e lo provocano, lo tengono in pugno. I mattatori sono fuori misura in tutto, per questo ne abbiamo bisogno».

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