
Quella che sta per iniziare è una
vera e propria sfida
: nelle rocce dalle caratteristiche uniche delle
Isole Lofoten
, nella Norvegia settentrionale, una
spedizione italiana
va in cerca di
idrogeno naturale
, ossia dell'idrogeno che si forma naturalmente nelle profondità della crosta terrestre.
“Durante la spedizione alle Isole Lofoten cercheremo idrogeno naturale in
rocce
di una crosta terrestre che ha
origini molto profonde
ed
emerse in miliardi di anni
di storia geologica. Le rocce su cui camminano migliaia di turisti hanno infatti
fino a 2.6 miliardi di anni
e si sono originate a
circa 50 chilometri di profondità
”, osserva Alberto Vitale Brovarone, che guida la spedizione il gruppo di ricerca italiano
DeepCarbonLab dell’Università di Bologna
. Le rocce delle Isole Lofoten sono particolarmente interessanti, aggiunge, perché “nonostante la loro lunga evoluzione,
preservano
le loro
caratteristiche profonde
, e in particolare la loro natura povera di idrogeno. Infatti, date le alte temperature, i fluidi geologici ricchi di idrogeno come l’acqua tendono a non resistere nelle parti più profonde dei continenti”.
I ricercatori sanno che “cercare e trovare idrogeno molecolare in queste rocce è dunque
difficile
ed una
sfida che stiamo preparando da ormai due anni
.
Trovarlo metterebbe
però
in discussione
ciò che sappiamo attualmente sul
ciclo globale dell’acqua
e sulla disponibilità di acqua ed energia per la
vita
durante la storia della Terra. Il nostro progetto rientra dunque in un’esplorazione di
nuove idee sulla storia della vita e della Terra
attraverso l’idrogeno e l'acqua”.
L’
idrogeno
è l’elemento più abbondante nell’Universo ed è comune nei fluidi che scorrono nella crosta terrestre, ad esempio nelle molecole d’acqua e nei minerali, “ma nella sua
forma molecolare
– osservano i ricercatori - l’idrogeno è anche una
risorsa energetica fondamentale per la vita
, dalla sua nascita almeno 3.8 miliardi di anni fa fino a oggi, e in un
futuro energetico sostenibile
. Una volta bruciato, infatti, l’idrogeno molecolare produce solo acqua”.
Per questo negli ultimi anni le ricerche del DeepCarbonLab dell’Università di Bologna si sono concentrate sulla formazione di idrogeno molecolare nella crosta terrestre, dalle Alpi fino alla Mongolia e la Groenlandia. “Nei nostri studi – dicono i ricercatori - abbiamo anche investigato come,
in presenza di carbonio
, l’idrogeno possa trasformarsi in
metano
(CH4), una molecola fondamentale per la vita ma con un forte impatto sui
cambiamenti climatici
”.
Giorno 3 – Il peso della scienza
Esplorare altri corpo celesti, che siano pianeti, satelliti, asteroidi o comete, è probabilmente il sogno di molte persone, e certamente di molti geologi. È quasi certo che nell’universo non esistano corpi analoghi alla Terra; anche se simili, la probabilità che altri oggetti nel Cosmo abbiano gli stessi minerali della Terra è prossima allo zero. Verrebbe da assicurarsi di mettere in valigia tutto il necessario per essere ben coperti, ma io come geologo forse cercherei di partire con la valigia vuota per poter riempirla il più possibile di rocce al ritorno.
La carta geologica della zona di Nusfjord, lungo il lato meridionale delle Lofoten, mostra una grande macchia con un solo colore. Questo vuole dire che in quella zona si trova un solo tipo di roccia. La nostra giornata prevede di esplorare questa grande macchia di colore fatta da una roccia chiamata anortosite. È una roccia formatasi dal raffreddamento di un magma nelle profondità della crosta e che da quasi un miliardo di anni non si forma più sulla Terra. Ci interessa capire se in queste rocce possa esserci idrogeno naturale nonostante la loro natura –in teoria– molto povera in idrogeno.
È proprio per questa natura povera in idrogeno che anche il mio amico Luca, professore all’Università di Oslo, studia questi affioramenti di roccia da oltre dieci anni, andando a caccia di terremoti fossili. Le rocce povere di idrogeno come queste anortositi sono molto dure e resistono alla deformazione della crosta terrestre. Ma quando non ce la fanno più si spaccano generando terremoti. Luca ci mostra le tracce di terremoti di oltre 400 milioni di anni fa, “fossilizzati” all’interno di queste rocce. Discutiamo di qualunque dettaglio o incertezze nei nostri modelli interpretativi ci disturbi il sonno.
Guardare la stessa roccia per una giornata intera può stancare, ma ci può permettere di concentrarci sulla selezione di due, massimo tre campioni ben scelti per le nostre ricerche, così da non appesantirci gli zaini e non renderci la vota troppo complicata per portarli fino al nostro laboratorio all’Università di Bologna. Dopo pochi minuti sul campo, però, ci accorgiamo che quella macchia di colore omogenea “sulla carta” non è realmente così omogenea. Contiene una grandissima varietà di rocce simili tra loro se non per piccole sfumature che rendono ogni metro quadrato un caso a sé. Piccole differenze con grandi implicazioni sul nostro lavoro. I due o tre campioni previsti diventano presto una quindicina, tutti etichettati e schedati nei nostri quaderni di terreno e riposti nei nostri zaini.
Nelle notti dell’estate artica non fa buio. Forse non ci accorgeremmo della mancanza della Luna nelle nostre notti, se non fosse per un pensiero rivolto alle sue anortositi. Molte delle parti della Luna che vediamo bianche sono fatte di anortositi. Chissà quanto sono diverse tra loro e chissà quanti campioni vorremmo raccoglierne durante una giornata sul campo, prima che la valigia diventi troppo pesante.
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