
Cronaca / Valchiavenna
Martedì 10 Giugno 2025
Indagini della Guardia di Finanza: ecco come falsificavano il Bitto
Sette allevatori-produttori per i quali ora la Procura di Sondrio chiede il rinvio a giudizio avrebbero utilizzato quantitativi di mangimi ben superiori a quelli consentiti dai disciplinari del Consorzio di appartenenza
Sondrio
Il Bitto è un formaggio Dop ottenuto da latte intero di vacca (ed eventualmente di capra in misura massima del 10%), lavorato a crudo, in alpeggi dell’intera Valtellina e alcuni Comuni della Bergamasca, nel periodo estivo compreso tra primo giugno e 30 settembre. Le bovine allevate per la produzione di latte destinato a formaggio Bitto devono essere tenute al pascolo e alimentarsi di erbe spontanee; è ammessa una limitata integrazione con mangimi/concentrati, ma le indagini degli ispettori ministeriali e della Guardia di Finanza hanno fatto emergere che i 7 allevatori-produttori per i quali ora la Procura di Sondrio chiede il rinvio a giudizio avrebbero utilizzato quantitativi di mangimi ben superiori a quelli consentiti dai disciplinari del Consorzio di appartenenza per “messa in vendita illecita di formaggio Bitto del valore commerciale di gran lunga superiore al prodotto non certificato”. E, per cercare di sfuggire ai controlli, taluni ricorrevano a “forniture in nero”, dunque non tracciabili attraverso fatture.
C’era anche un prodotto, denominato Lattolinamilka18 (integrazione vitaminica e minerale, additivi, girasole, polpe di barbabietola), indirizzato a un commerciante di mangimi - rimasto impigliato nell’inchiesta del procuratore Piero Basilone e del sostituto Stefano Latorre - ma con luogo di scarico indicato nella fattoria di un imprenditore agricolo.
Le carte dell’inchiesta mettono in luce, ad esempio, che un produttore, d’intesa con il titolare della ditta fornitrice, “eludeva il meccanismo di prevenzione predisposto volto a prevenire acquisti illeciti di mangime in eccedenza rispetto ai quantitativi consentiti (consistente nella fornitura diretta dal servizio tecnico della stessa Latteria di mangime a prezzo più conveniente del valore di mercato)” e si rivolgeva, inoltre, al commerciante “ottenendo, oltre ai quantitativi massimi di mangime consentiti dal meccanismo incentivante, ulteriori forniture dirette, talvolta con fatture (non rilevabili dall’Organo di controllo), in altre occasioni del tutto in nero”.
Sarebbero state diverse le migliaia di chilogrammi di mangime utilizzati negli alpeggi dai produttori ora nei guai per alimentare i capi di bestiame dal cui latte sarebbe stato possibile produrre forme “tarocche” del pregiato formaggio da immettere sul mercato, garantendosi così profitti illeciti. Queste sono le convinzioni raggiunte dagli inquirenti, ma tutti sono da ritenersi non colpevoli sino ad un’eventuale sentenza di condanna definitiva.
Davanti al giudice Antonio De Rosa, per l’udienza preliminare, il prossimo 6 novembre in Tribunale a Sondrio dovranno comparire in sette nelle vesti di imputati: Isidoro Motta di Albaredo, Claudio Tavasci di Prata Camportaccio, Gabriele Pedretti di Mese, Maurizio Pedroncelli di Piantedo, Marco Scarinzi di Fusine, Giulio Tocalli di Berbenno, Claudio Bertolini di Forcola. Archiviata, invece, la posizione di Michele Codega di Colorina, di recente entrato a fare parte del Consorzio agrario lombardo e che da subito aveva respinto le accuse.
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