Aprica, processo per la morte dei genitori novantenni: a giudizio il figlio

Si apre il dibattimento in Corte d’Assise a Sondrio. L’uomo è accusato di abbandono di persone incapaci e occultamento di cadavere. Decisiva la perizia psichiatrica.

Aprica

Si è chiusa l’inchiesta della Procura di Sondrio sui coniugi novantenni veronesi morti di stenti all’Aprica: domani, infatti, è fissata l’apertura del processo in Corte d’Assise, composta da 9 giudici popolari e due togati. La donna, Anna Maria Squarza, fu trovata nella camera matrimoniale del trilocale di via Europa il 12 aprile di un anno fa mentre il marito, Giorgio Monticelli, accanto a lei deceduta da più settimane nel letto in grave stato di denutrizione, spirò una settimana dopo in ospedale e in seguito all’amputazione di una gamba colpita da cancrena.

E il figlio Antonio, 60 anni, capelli lunghi grigi, sciolti sulle spalle, carattere schivo, riservato, è stato sottoposto a perizia dal pm Chiara Costagliola la quale giovedì comparirà in aula, prima del trasferimento al Palazzo di giustizia di Milano che avverrà soltanto pochi giorni dopo. La perizia, disposta dal magistrato, ha accertato il totale vizio di mente dell’uomo, finito a processo con due imputazioni. Eccole: abbandono di persona incapace da cui è derivata la morte della stessa (591 c.p) e occultamento di cadavere (contemplato dall’articolo 412 del Codice penale). Indagato dalla Procura in stato di libertà per queste ipotesi di reato, era tornato nel paese della Valtellina a trascorrere le vacanze di Ferragosto. Si vedrà che piega prenderà il processo.

“Antonio è una brava persona - aveva dichiarato Licia Alessi, la titolare del negozio di parrucchiera per uomo-donna-bambini che gestisce con la sorella Pamela -. Non credo assolutamente volesse del male per i suoi genitori. E’ stato sicuramente sfortunato, alcuni eventi sfavorevoli della vita sono andati probabilmente a incidere su una fragilità di fondo”.

“Lo incontro, talvolta, quando rincasa dalla spesa - aveva aggiunto la giovane Licia - con il sacchetto del pane e altri generi alimentari. ’Buon giorno, buona sera’, poche le parole che ci si scambia. La prima volta, da quando lo abbiamo rivisto, di recente, è arrivato accompagnato dai carabinieri che sono saliti in casa con lui. Lui abita al primo piano e non dà alcun fastidio”.

A chiedere l’intervento dei carabinieri furono i vicini, allarmati per il forte odore che proveniva dal trilocale. La televisione accesa, la porta non era chiusa a chiave, il maresciallo dopo aver suonato più volte senza ricevere risposta, entrò: dopo pochi minuti la macabra scoperta, il corpo dell’anziana in avanzato stato di decomposizione, il marito incapace di parlare, il figlio in salotto. “Papà non voleva che chiamassi qualcuno”, avrebbe provato a giustificarsi. Le indagini da subito vennero coordinate dalla Procura di Sondrio, diretta da Piero Basilone. E Antonio Monticelli fu ricoverato nel reparto di Psichiatria.

“I genitori non li vedevamo da settimane, lui usciva di rado, sempre a testa bassa. Comprava le sigarette, il giornale e rientrava”, raccontarono i vicini. L’uomo, disoccupato, viveva con la pensione di papà Giorgio. A Verona non tornavano da anni. Una cugina e una zia in Veneto, nessun altro parente. Solo loro tre, sempre insieme.

“Ho avuto conoscenza dell’esito delle perizie - disse l’avvocato Manuela Mauro -, entrambe con un esito favorevole per il mio assistito: la mamma è deceduta per cause naturali, il padre per le complicanze respiratorie in seguito all’operazione. Papà Giorgio aveva problemi cardiaci e la pressione alta. Il mio cliente dopo un ricovero di 15 giorni in Psichiatria fu dimesso”.

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