
Cronaca / Sondrio e cintura
Venerdì 28 Giugno 2013
«Brusio, i miei uccisi
da veri professionisti»
Delitto di Brusio, ieri in Tribunale la drammatica testimonianza del figlio delle due vittime
Pretese sui pagamenti di alcuni rimorchi alla base di dissapori e tensioni con l’imputato Gatti
Di testimoni chiave qui non ce ne sono: nessuno ha assistito alla scena e per arrivare alla soluzione del caso saranno determinanti le prove raccolte sul campo.
Le parole di Gianpiero Ferrari Junior, però, avranno un peso non da poco nella ricostruzione dei fatti di quel 21 novembre 2010 in cui furono uccisi i suoi genitori: Gianpiero Ferrari e Gabriella Plozza. Era stato proprio lui, alle 6,30 della mattina dopo, a trovarli senza vita all’interno della loro casa di Zalende. La deposizione dell’uomo, classe ’77, è stata ascoltata anche dai due imputati, Ezio Gatti, 42 anni di Castione, e Ruslan Cojocaru, moldavo di 32 anni, accusati di essere rispettivamente il mandante e l’esecutore materiale di quella che agli occhi dell’uomo si era presentata come un’autentica mattanza.
Non vedendo arrivare il padre in azienda, Gianpiero Junior aveva deciso di andare a controllare a casa dei suoi se fosse tutto a posto. Erano soltanto le 6.30, è vero, ma il lunedì a quell’ora l’imprenditore era già in ufficio.
«Prima ho visto mio padre, a terra. Pensavo fosse stato colpito da un infarto e ho gridato per chiamare mia madre, ma non rispondeva nessuno - ha raccontato alla corte presieduta dal giudice Pietro Della Pona -. A quel punto sono andato a controllare e l’ho trovata riversa a terra nel suo ufficio vicino alla macchina fotocopiatrice».
Passato il primo istante di smarrimento, Ferrari ha capito perfettamente cos’era successo ai suoi genitori: entrambi uccisi a colpi di arma da fuoco.
«Opera di professionisti, una specie di esecuzione» ha detto ai giudici l’imprenditore elvetico, che dopo la scomparsa dei genitori si è caricato sulle spalle insieme al fratello Giorgio il peso della gestione della società di famiglia. «Inizialmente avevo pensato a una rapina, ma la cassaforte era intatta». Poi alcune precisazioni sugli orari: «Deve essere successo prima di mezzogiorno, perché sul tavolo c’era ancora il necessario per cucinare la fondue» ha proseguito il testimone.
Sempre il figlio delle vittime ha anche spiegato nel dettaglio l’attività lavorativa dei Ferrari, che andava dallo smaltimento rifiuti al commercio di mezzi e veicoli per sgombero neve, passando per i trasporti e l’edilizia.
Dell amministrazione era la mamma a occuparsi, mentre l’impresa di costruzioni e i cantieri erano gestiti dal padre, con il fratello Giorgio a fare da braccio operativo nei cantieri. «Io mi occupavo di tutto il resto, assistendo spesso durante le trattative. Avevamo rapporti con tutta l’ Italia e in più clienti in Bulgaria, soprattutto per le macchine spargisale e gli spazzaneve».
Lunga e dettagliata la ricostruzione della galassia di accordi e di società fittizie, basate soprattutto su accordi verbali, tra i Ferrari e l’imprenditore poschiavino Sergio Paganini, indagato dalla polizia svizzera per concorso in omicidio.
Paganini avrebbe fornito sei rimorchi, sottratti al fallimento della propria ditta attraverso il prestanome valtellinese Placido Bonolini, Ferrari ci avrebbe messo le motrici. Poteva essere un affare e se ne sarebbero potuti dividere i profitti. Ma le cose non erano andate bene. Risultato: Ferrari si era tenuto i rimorchi, attribuendo a Paganini il fallimento della società.
Anche Gatti però vantava delle pretese su un altro rimorchio, acquistato in precedenza dagli stessi Ferrari a Paganini, assieme a un terreno.
«Un giorno ho visto mio padre litigare con Bonolini - ha raccontato Ferrari Junior -. Quando sono intervenuto mio padre mi detto: “Attento, quello è uno pericolo veramente. Può fare ammazzare una persona”. Non so perché stessero discutendo: ho pensato che potesse aver fatto da tramite anche per Gatti».
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