
Cronaca / Sondrio e cintura
Domenica 12 Aprile 2015
«Ecco il risultato del discredito verso i magistrati»
Le parole del presidente del Tribunale di Sondrio dopo la strage al Palazzo di Giustizia milanese. «I nostri colleghi sono stati uccisi nella loro casa»
Il folle gesto di un pazzo, certo. Ma per il presidente del Tribunale di Sondrio, Gianfranco D’Aietti, sarebbe riduttivo circoscrivere la strage commessa giovedì a Milano a un episodio del tutto casuale.
Piuttosto, potrebbe essere il risultato di un clima, a detta del massimo magistrato sondriese, sempre più ostile nei confronti dell’intera categoria dei pubblici dipendenti a cui è affidato il compito di amministrare la giustizia.
«La tragedia di Milano ci ha scossi tutti profondamente. Possiamo e dobbiamo unirci ai commenti e alle denunce che si ripetono quasi unanimi ovunque, ma io vorrei evidenziare soprattutto due aspetti che mi hanno particolarmente colpito». Così ha esordito D’Aietti nel corso della commemorazione che si è tenuta all’interno dell’aula Carmelo Guadagnino.
«Nella strage di ieri (giovedì) hanno trovato la morte un giudice e un avvocato: ossia i rappresentanti delle due categorie che, insieme al personale amministrativo, “fanno” un tribunale, danno vita e significato a quello che altrimenti sarebbe solo un edificio e che invece attraverso esse, grazie a esse, diventa la casa della giustizia - ha proseguito il presidente -. Per noi, per chi vive fino in fondo la sua professione, un tribunale, qualunque tribunale, non è solo un luogo di lavoro: è la nostra “casa”, il nostro costante punto di riferimento.Per questo la morte dei nostri colleghi ci colpisce così profondamente: perché sono stati uccisi nella loro casa, nella “nostra” casa, quella in cui vogliamo e dobbiamo sentirci al sicuro e che invece viene improvvisamente violata nel più brutale dei modi, lasciandoci dentro un senso insanabile di insicurezza».
Dolore e paura, ma non solo. «A questo senso di insicurezza si accompagna quello della solitudine - ha detto ancora D’Aietti in aula -; perché questo episodio si inserisce in un contesto di progressiva e costante delegittimazione non solo della magistratura, ma dell’intero settore “giustizia”; perché ci sentiamo sempre più abbandonati a noi stessi, sempre più gravati dell’impossibile compito di assicurare con le nostre sole forze il funzionamento di un sistema essenziale per il Paese eppure biasimevolmete negletto. E in questo attacco, benché individuale e soggettivo, noi avvertiamo l’epilogo e il simbolo del nostro oggettivo stato di abbandono».
Inevitabile un richiamo a una maggiore attenzione nei confronti della categoria dei magistrati: «Se fosse solo una sensazione, sarebbe una sensazione radicata e collettiva: perché anche il nostro Presidente della Repubblica, nel suo discorso al Csm, ha sentito il bisogno di dire basta al “discredito” verso la magistratura, dando voce istituzionale a un sentimento di esasperazione profondamente avvertito da tutti noi».
Dal numero uno dei giudici sondriesi arriva però anche la rivendicazione dell’orgoglio per l’appartenenza alla categoria: «Se qualcosa di buono può venire da questa tragedia, è il senso di comunanza che ci viene dai nostri colleghi, morti insieme nella loro casa; la ritrovata consapevolezza che il tribunale, qualunque tribunale, questo tribunale è la nostra casa comune, nel bene e nel male. È l’appello a ricordarcene ogni faticoso giorno di lavoro, in ogni faticosa ora; a ricordarci la necessità del rispetto per il lavoro di ciascuno di noi, del riconoscimento del nostro silenzioso e spesso solitario impegno, della reciproca comprensione e collaborazione.Ma è anche l’appello al nostro orgoglio, all’orgoglio per la toga che tutti noi indossiamo, e con la quale, per la quale, sono caduti i nostri colleghi. Insieme, come insieme siamo noi qui, oggi, a ricordarli».
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