Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, tutti abbiamo creduto al trionfo planetario della democrazia liberale. Di contro, solo pochi anni dopo, abbiamo scoperto che, come diceva Umberto Eco, spesso la storia procede all’indietro, a passo di gambero.
Si ponga mente all’epoca degli assolutismi nella quale veniva teorizzata l’origine divina dell’autorità regia. Poiché derivava i suoi poteri direttamente da Dio, il sovrano si ritene va infallibile (“king can do no wrong”) e “legibus solutus”, sciolto, cioè, da ogni vincolo di legge: praticamente, il re non era tenuto a rispondere a nessuna istanza terrena.
Con l’avvento del suffragio universale e della democrazia rappresentativa, la legittimazione popolare sostituisce l’investitura divina. La separazione dei poteri, un tempo concentrati nelle mani del sovrano, contempla l’attribuzione della potestà legislativa al parlamento, all’interno del quale operano i partiti che si disputano il consenso dei cittadini attraverso libere elezioni. La democrazia rappresentativa si fonda sulla centralità dei partiti, organizzazioni collettive da cui trae origine la leadership.
Con l’avvento della tv commerciale e dei social, la democrazia rappresentativa è stata soppiantata da una democrazia plebiscitaria in cui il confronto politico è stato dirottato in uno spazio pubblico del tutto inedito il quale, nutrendosi di prossemica, di immagini e di volti, ha finito per rendere anacronistica una entità impersonale come la tradizionale forma-partito. Nella democrazia plebiscitaria, che evoca la democrazia diretta dell’antica Grecia, le elezioni rappresentano il momento in cui il popolo non si limita a conferire un semplice mandato ma celebra una investitura “carismatica” che evoca quella monarchica.
In verità, esiste un filo conduttore che lega la concezione “legittimista” dell’origine divina del potere regio a quella “carismatica” teorizzata da Max Weber secondo cui il leader carismatico vanta la straordinaria capacità di “fare la storia”. Occorre dire che anche in questa teoria esiste un fondamento teologico. Infatti, Max Weber riprende il concetto di carisma mutuandolo dalla tradizione cristiana secondo cui l’autorità è un dono della grazia (carisma, dal greco, significa “grazia”) che viene esercitato dai capi e riconosciuto dall’intera comunità.
Questa breve digressione serve ad illustrare la fondatezza della vecchia battuta di Eco a proposito del cammino della storia che procede a passo di gambero. Pertanto, se nella monarchia assoluta il re non può sbagliare perché deriva i poteri da Dio, nella democrazia diretta o plebiscitaria, che dir si voglia (per taluni, “democrazia illiberale”, oppure “democratura” o “post-democrazia”), nessuno può mettere in discussione il leader carismatico perché il popolo ha sempre ragione: mutatis mutandis, “the people can do no wrong”, il popolo non può sbagliare. L’identificazione del popolo con Dio conferisce un potere assoluto al leader carismatico che deve, quindi, rispondere solo al “suo” popolo che lo ha eletto e voluto: criticare il leader significa, pertanto, disprezzare il suo popolo. La conseguenza che ne discende è la dissoluzione dello stato di diritto perché nessuna istituzione, nessun giudice e nessuna norma giuridica può arrogarsi il diritto di sconfessare il popolo calpestandone la cieca fiducia nel leader.
In questo modo, cambiano i fondamentali della politica. La mediazione lascia il posto all’intolleranza e alla radicalizzazione del confronto politico nel quale prevale un approccio manicheo che divide il campo in “noi” e loro”: noi, cioè, il popolo; loro, ovverossia, l’élite. Popolo contro establishment, è questo il vecchio trucco populista con cui si tende ad occultare quell’irrefrenabile desiderio di autocrazia che serpeggia da tempo in Europa. Donald Trump, Putin, Orban, Erdogan, Lukašėnka, dimostrano che tira davvero una brutta aria sotto i cieli dell’Occidente.
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