Banche classe politica inadeguata

L’idea è mettere al sicuro i 5mila miliardi di Assicurazioni Generali e far del risparmio degli italiani la cassaforte della nazione. Philippe Donnet, amministratore delegato della compagnia di Trieste, vuole un accordo con Natixis, della banca francese Bpce. Motivazione: porterebbe a un’importante espansione nel settore della gestione patrimoniale. Ed è qui che nel governo italiano scatta la scintilla. Il risparmio italiano finirà in Francia? No, perché Donnet dice che le risorse dei clienti italiani saranno a gestione separata, ovvero gestite internamente. Troppo alto il rischio di subire condizionamenti dal potente alleato.

I precedenti di Pioneer, societá Unicredit nella gestione del risparmio, non aiutano.

Nel 2016 il tesoretto dei risparmiatori italiani viene ceduto dall’allora amministratore delegato di Unicredit Jean-Pierre Mustier ad Amundi, di Crédit Agricole. Gli italiani si candidano, ma la cordata di Poste Italiane va a scontrarsi con la liaison francofona. Un tesoro di risparmi emigra in Francia senza che il governo italiano di allora faccia nulla. Il motivo: non vogliamo interferire nelle vicende di mercato.

I governi italiani vengono dalle liberalizzazioni degli anni Novanta e l’idea che lo Stato metta naso è vista come violazione delle regole. Prevale l’astrattezza dei principi - cioè il provincialismo - mentre in Francia non si muove foglia finanziaria o industriale che il governo non voglia. Adesso anche in Italia hanno imparato, e questo spiega il terremoto che smuove dalle fondamenta la finanza italiana. Si guarda oltralpe con sospetto e il ministero dell’Economia e delle Finanze vede con favore l’attivismo degli azionisti di Generali Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri di EssilorLuxottica. Loro obiettivo: crescere in Monte dei Paschi e poi scalare Mediobanca.

La banca che fu di Enrico Cuccia, baluardo della finanza italiana, detiene il 13% di Generali e controlla la compagnia di assicurazioni nata nel 1831 al tempo degli Asburgo. Peccato che quella che doveva essere un’operazione di trasparenza finanziaria a tutela dell’interesse nazionale non passi il controllo della Consob e della magistratura. L’accusa: presunti patti occulti, acquisti concertati, il che vuol dire che i due azionisti non agivano ognuno per conto proprio ma con un’unica regia, dalla quale pare non sia escluso l’amministratore delegato di Monte dei Paschi Luigi Lovaglio. Un’omissione grave perché al mercato non va nascosto nulla. Va detto che dall’utilizzo del golden power da parte del ministero dell’Economia contro il tentativo di Unicredit di acquisire Banco BPM sino alla vicenda Mps e alle indagini della magistratura appare evidente che il governo si è mosso goffamente. La Commissione Europea ha impugnato il golden power perché strumento non consono per interferire nelle vicende finanziarie delle banche su territorio nazionale.

Unicredit è banca italiana e quindi può risultare pretestuoso affermare che l’interesse nazionale è a rischio.

Il risultato è che adesso Banco BPM ha come azionista di riferimento il Crédit Agricole con il 20% e già si parla di possibile fusione con Crédit Agricole Italia. Se l’indagine della magistratura non si rivelasse una bolla gli azionisti di Essilor-Luxottica potrebbero chiedere Francesco Milleri di farsi da parte.

Col risultato di lasciare ai francesi la guida dell’unico gruppo multinazionale in mano italiana. L’intenzione poteva essere anche buona da parte del governo ma il risultato è sconsolante e dimostra ancora una volta di più che il problema di questo governo è la consistenza culturale e tecnica dei suoi quadri direttivi. Tanto è brava Giorgia Meloni a calcare la scena internazionale, tanto inadeguata appare la sua classe dirigente.

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