Non molti lecchesi sono a conoscenza di un piccolo gioiello di umanità nascosto tra i muri del liceo Manzoni. Lo si potrebbe definire un segreto, se non fosse che le poche righe di cui parliamo (una lettera incollata scrupolosamente sul retro di copertina del primo volume di un’antologia filosofica) meriterebbero al contrario di essere note, esposte, lette e rilette da chi si propone il compito gravoso di amministrare Comuni e Paesi per conto dei cittadini.
Senza farla troppo lunga, si tratta di una missiva (è datata 13 gennaio 1956 e, tra parentesi, compie giusto settant’anni) indirizzata all’allora preside don Giovanni Ticozzi. In soldoni dice più o meno che l’antologia di volumi è stata donata all’autore della lettera da una certa associazione, ma che lui ne fa dono alla scuola “non potendola conservare per me, rientrando nell’assolvimento dei miei doveri l’opera prestata per cui il dono ha voluto essermi fatto”. Firmato, Ugo Bartesaghi.
Ugo Bartesaghi è stato molte cose. Anzitutto, per quanto attiene alla sua dimensione pubblica, è stato sindaco di Lecco dall’ottobre 1948 al gennaio 1955, creatore poi di quella lista Torre civica che sfiorò la vittoria comunale nel 1957 (inserendosi clamorosamente nell’eterno scontro tra Scudo crociato e falce e martello), ma anche parlamentare (nella Dc da giugno 1953 a dicembre 1954, quindi misto, poi indipendente Pci dal 1958 al 1972).
E’ stato l’ispiratore e la guida della squadra di soccorso al Polesione alluvionato nel 1951, con i pescatori di Pescarenico in prima linea a salvare vite e famiglie dal mare d’acqua del Rovigotto.
Nella sua dimensione più intima (quindi quella meno definita e più frastagliata, legata in particolare a lettere, parole e diari) è certamente stato un cattolico maturo, un uomo di indole inquieta e a tratti travagliata, ma sempre capace di tradurre i dubbi stessi in azione, i timori in fuga dal nichilismo. Certamente fu un uomo di partito poco incline a passare da scudiero, e anche un fiero sostenitore di una pace giusta, di una cooperazione europea, di una politica estera capace di sottrarre dal tavolo i temi di conflitto con l’Oriente e non protesa invece a tragici bracci di ferro. E, per questo e in particolare per un voto contrario alla ratifica sull’organismo nascente dell’Unione europea occidentale, fu espulso seduta stante dal segretario democristiano Amintore Fanfani. Un conflitto personale, va detto, segnato anche da elementi addirittura più grandi dei protagonisti in gioco. Da partite aperte (le basi Nato, Trieste appena riavuta del tutto, soldi da incassare dagli Usa) da pressioni internazionali straordinariamente intense.
Ad ogni modo, non c’è bisogno di tante parole per mettere in luce le ragioni che fanno di Ugo Bartesaghi un politico e un amministratore straordinariamente contemporaneo. Per temi, per attitudine alla complessità e per livello morale.
La sua esistenza terrena era cessata per sua scelta, una sera di marzo del 1976, su un treno diretto a Roma. Tra poche settimane saranno quindi cinquant’anni esatti da quella data. Per una città come Lecco (e per il valore politico della figura), il 2026 dovrebbe essere per intero l’anno del mezzo secolo dalla morte di Ugo Bartesaghi.
Certo, sarà anche l’anno di una competizione elettorale locale decisiva, nella quale le forze in campo (ciascuna con le sue strategie e i suoi tempi) stanno già mettendo in pista energie e proposte. Talvolta mature, talvolta sguaiate. Ma, si sa, fa parte anche questo del gioco.
Eppure, quanto sarebbe bello che una sera di metà marzo, nel cuore o agli esordi di una campagna elettorale che sarà molto probabilmente stracolma di appuntamenti, veleni, slogan, tutti i candidati e tutti i partiti deponessero le rispettive divisioni per celebrare uno dei migliori politici e amministratori locali mai passati dalla città di Lecco? Sarebbe un modo, non troppo retorico per carità (siamo pur sempre a Lecco) per affermare che, al di là delle divisioni (ideali, spesso caratteriali, troppo spesso di sola scuderia), c’è la consapevolezza condivisa di cosa sia la cosa pubblica e di quale clamorosa responsabilità sia l’atto democratico di vedersela affidata.
In fondo può considerarsi un invito che dal nostro giornale arrivi innanzitutto al Comune, e poi a candidati e segretari di tutti i simboli politici lecchesi (quelli in corsa per Palazzo Bovara, e pure quelli che non riusciranno nemmeno a fare una lista). Sarebbe un modo migliore di altri per fare da prologo a una primavera densa di manifesti, di ospitate, di convegni, di gazebo, di titoli di giornale e litanie social. Di politica, insomma. In qualunque caso, buon anno a Lecco e ai lecchesi
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