
L’artista “è” la sua opera. E’ lei che lo rappresenta, lo determina, lo qualifica. L’autore si risolve totalmente e completamente dentro il perimetro della creazione. Tutto il resto, compresa la sua biografia - soprattutto la sua biografia - non conta nulla.
Chi crede nelle fondamenta del pensiero liberale sa perfettamente - anche senza aver letto Croce, che infatti in un paese di “chiese” come il nostro non legge nessuno - che l’opera d’arte vive di una totale autonomia rispetto agli accadimenti e trova in sé e solo in sé la giustificazione della propria esistenza. E che quindi ogni sua valutazione in relazione con la vita dell’autore, le sue idee politiche o religiose, i suoi comportamenti pubblici o privati, porta inevitabilmente fuori strada. Nel momento in cui si pretende che l’artista sia da esempio agli altri, agli uomini, alle donne, ai lavoratori, ai bambini e bla bla bla lo si tradisce. Perché in quel caso finisce l’arte e inizia la pedagogia. Che, come noto, è la tomba dell’arte.
Questa deriva pericolosissima è tornata di attualità nei giorni scorsi a causa delle polemiche attorno al concerto di Valery Gergiev, formidabile direttore d’orchestra russo, in programma il 27 luglio alla Reggia di Caserta. Sempre che il concerto si tenga, sempre che Gergiev non rinunci, sempre che non venga impedito dalla contestazione, che si attende urlante e vigorosa con tanto di petizione dell’associazione Russi liberi, che ha raggiunto le 16mila firme, e quella molto più pesante da un punto di vista politico che raccoglie settecento tra scrittori, intellettuali, Nobel, artisti e politici. Con tanto di lettera alla presidente della Commissione Ue von der Leyen e al presidente della Regione Campania De Luca in cui si chiede di annullare il concerto. E sappiamo tutti, la storia lo insegna, che quando gli “intellettuali impegnati”, categoria infida e fanghigliosa come nessuna, si mettono a firmare manifesti hanno sempre torto marcio.
Ma qual è il motivo di questa rivolta? Sempre il solito. Valery Gergiev è un entusiasta sostenitore di Putin, un simbolo del Cremlino, un supporter dell’invasione dell’Ucraina, un propagandista indefesso e spudorato delle politiche del regime russo. E sapete qual è la notizia? Che è tutto vero. Gergiev è davvero così. D’altra parte, basta guardarlo in faccia, con quel muso da demone, da personaggio di Dostoevskij, per capire che rappresenta la metafora perfetta di quello che è la Russia secondo la celebre definizione di Churchill: un rebus avvolto in un mistero che sta dentro un enigma.
Bene, probabilmente Gergiev è un mostro. Ma questo - eccoci al punto - non conta nulla. L’uomo Gergiev non ci deve interessare, è solo la sua opera quella che conta. Le sue idee e il suo corpo spariranno a breve, la sua maestria rimarrà. Ma è una lezione che non impariamo mai, perché in noi prevale sempre la convinzione malsana che l’arte debba insegnare, debba educare, debba indirizzare, debba farci migliori e tutta la tiritera di banalità con la quale avvoltoliamo la nostra idea borghesuccia dell’artista perbenino, educato e salottiero.
Che genio è Goethe quando scrive il “Faust” e “Le affinità elettive” e che uomo schifoso è quando per pura invidia, capendo di avere di fronte un talento purissimo, stronca le poesie di Hölderlin spingendolo alla follia o quando, per lo stesso motivo, sabota “La brocca rotta” di Kleist spingendolo al suicidio? Un altro mostro.
Che genio è Thomas Mann quando scrive “I Buddenbrook” o “La montagna magica”, romanzi talmente perfetti da farti venire da piangere, e che uomo disgustoso è nel rapporto con i figli - due si toglieranno la vita - riassunto nella scena agghiacciante a tavola quando dà il dolce solo alla figlia Erika e spiega così questo gesto orribile ai fratellini: “E bene che vi abituiate per tempo all’ingiustizia”. Un mostro pure lui. E pure pedofilo.
E che rivoltante antisemita nazistoide era Céline, il più grande scrittore del Novecento? E che ridicolo maoista era Moravia? E che impresentabile polpottista era Sartre? E quali e quante scemenze innocentiste ha detto sui colonnelli argentini l’inarrivabile Borges? E Pirandello e Ungaretti non erano dei servi di Mussolini? E tre quarti dell’intellighenzia della sinistra italiana del secondo Novecento non si è bevuta per decenni le panzane dell’Urss di Stalin prima e di Breznev dopo? E stiamo parlando di Carlo Levi, Pavese, Calvino, Vittorini e tanti altri. E il nazista Von Karajan? E il seminazista Heidegger? E l’assassino Caravaggio? E poi vogliamo parlare del pederasta (una volta era un reato) Proust? Dell’ubriacone Bukowski? Del drogato Baudelaire? Potremmo andare avanti per centinaia di nomi: che facciamo con questi brutti ceffi, signora mia, bruciamo tutti i loro libri?
E Maradona, forse il più artista di tutti? Cosa rimane di lui, oggi? La cocaina? La vita da morto di fame arricchito ignorante e piagnone, che non sapeva vincere e non sapeva perdere? Il testimonial dei peggiori dittatorelli sudamericani, demagoghi, peronisti, cheguevaristi, castristi e tutto il resto della retorica terzomondista al seguito? Rimarrà questo? Rimarrà l’ignobile gol di mano all’Inghilterra? O rimarrà quello di pochi minuti dopo, il più bello della storia del calcio? O le sue partite, dove forse abbiamo visto Dio giocare a pallone?
E poi chi sarebbe il giudice che si prende l’onere di decidere se un artista può pubblicare o meno, se un concerto può andare in scena o meno? Da chi è composto questo Convivio di scienziati, di cervelloni, di intelligentoni? Cos’è, il Tribunale dei moralisti un tanto al chilo? Il Sinedrio dei tartufi da terrazza? Il Minculpop del pensiero unico condiviso? Chi è questo Papa Re che decreta se va bene la destra oppure la sinistra? E soprattutto, chi decide qual è la cosa giusta da pensare? Chi è il ministro della Verità?
Pretendere dagli uomini di genio di essere degli esempi è un’operazione sbagliata e truffaldina. La merda Gergiev ami pure Putin, noi continueremo ad amare l’artista Gergiev.
@DiegoMinonzio
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