Europa, sull’Ucraina indignarsi non basta più

Un po’ estromessa dall’America, un po’ fragile di costituzione per le debolezze autoinflittesi, l’Europa riprova a essere voce in capitolo nei negoziati di pace per l’Ucraina.

Si inizia con il summit a Berlino fra alcuni leader europei (c’è anche Giorgia Meloni) e i due inviati di Trump. Poi giovedì, con il vertice dei capi di Stato e di governo dei Ventisette, il focus riguarda una parola definitiva sull’uso delle riserve russe, in gran parte (185 miliardi di euro su 210) custodite in Belgio, destinate a finanziare il prestito di riparazione all’Ucraina. Kiev ha urgente bisogno a breve di almeno 80 miliardi per evitare il dissesto e non può che contare soprattutto sul sostegno bellico ed economico dell’Ue, dato che l’aiuto di Washington non è più legato alla fornitura di armi (acquistate dagli europei negli Usa e riversate sull’Ucraina) bensì alle fonti di Intelligence.

Il contenzioso sui beni di Mosca è tecnico e politico e rischia di diventare dirompente dopo che la Ue ha congelato a tempo indeterminato gli asset russi e Mosca ha risposto minacciando ritorsioni a più livelli. Il Belgio ha espresso nette riserve sull’uso di quei fondi, in quanto teme di pagare per tutti sul piano finanziario e giuridico, mentre alcuni Paesi (fra i quali l’Italia) hanno proposto un meccanismo di prestito o soluzioni ponte. In sostanza il governo belga chiede garanzie esigibili, che gli altri esecutivi dovrebbero approvare con leggi votate dai Parlamenti. E qui sorgono i problemi politici. Italia e Francia dovrebbero impegnarsi su circa 25 miliardi di euro ciascuna. La questione è come convincere le opinioni pubbliche che fra Est e Ovest hanno sensibilità ed esprimono reazioni differenti per via della geografia (vicinanza alla Russia), storia e cultura. Gli umori dei francesi, tra sondaggi e realtà, sono pessimi e stanno preparando la volata a Le Pen-Bardella.

Da noi, la premier deve vedersela con Salvini, mentre sembra rinsaldarsi l’assonanza con Conte, che a sua volta può condizionare il Pd. Il nuovo decreto per gli aiuti all’Ucraina è stato rinviato, anche se le priorità restano quelle di sempre: tenere a bordo gli Stati Uniti sul negoziato e condividere l’azione europea che difende l’Ucraina per difendere sé stessa. Dietro le obiezioni belghe c’è anche la debolezza della Germania di Merz: il sorpasso dell’estrema destra (26% secondo i sondaggi) sui democristiani (Cdu-Csu al 24%) spinge il cancelliere a porre condizioni molto difficili in una partita in cui si vuole dimostrare all’America che spetta all’Europa decidere sui temi che la riguardano. C’è di più. Quasi tutti i 27 Paesi sono retti da governi di coalizione con problemi di estremismi politici e di aggregazione del consenso, mentre con il radicale cambio di stagione alla Casa Bianca il sovranismo europeo si sente dalla parte del più forte. Lo stesso Trump, benché in calo di popolarità in casa, svetta come il leader più influente nel Vecchio continente, almeno secondo un sondaggio di “Politico Europe”.

La questione esistenziale di cui soffre la vecchia Europa è il portato di un duplice attacco. Quello esterno: per la nuova strategia di sicurezza nazionale americana, l’Europa è un avversario e non più un alleato. Solo interessi, non una solidarietà condivisa, muovono il ritorno agli Stati-nazione, considerati la fondamentale unità politica del mondo. Quello interno: le forze anti sistema si percepiscono oggi in grado di cogliere il momento favorevole offerto dall’amico americano, la cui dottrina rovescia radicalmente la prospettiva di politica internazionale elaborata dalla presidenza Truman nel ’50 con il sostegno all’integrazione europea. Il messaggio codificato è brutale ma chiaro: con Trump si passa dall’egemonia liberale alla supremazia selettiva e per aree d’influenza delle grandi potenze. «La pax americana è finita», ha constatato il cancelliere tedesco in attesa di sapere se la pax russo-americana si possa ancora correggere per evitare la capitolazione dell’Ucraina.Il concetto di pace, e per logica quello di libertà, è sottoposto a più declinazioni: pace giusta, cioè degna, secondo Zelensky, pace gestibile, cioè «sporca» stando a Trump, pace draconiana per Putin, ovvero la resa degli aggrediti. Questa malmessa e frammentata Europa che ci è data, e nonostante i suoi limiti (si veda l’infelice negoziato in ginocchio sui dazi), resta pur sempre una delle poche garanzie in mano all’Ucraina e a presidio di quel che rimane del diritto internazionale. Trump ha scaricato addosso all’Ue la responsabilità di provare che non è una causa persa, un soggetto senza prospettiva, ma al tempo stesso i ripetuti attacchi di cui è destinataria smentiscono la sua irrilevanza sulla scena mondiale. L’onere della prova tocca all’Europa: non è più il tempo a lei familiare della sola indignazione, sperando che la bufera passi.

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