Femminicidi, la legge si può ancora migliorare

Il Senato ha approvato il disegno di legge di iniziativa governativa che introduce nel codice penale il nuovo delitto di femminicidio con l’art. 577-bis, che così recita: “Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo”.

Sono previsti anche aumenti di pena per i reati di maltrattamenti in famiglia, lesioni personali, violenza sessuale, stalking, revenge porn e omissione di soccorso.

Da anni in Italia si susseguono leggi volte a contrastare la violenza di genere senza significativi miglioramenti. I divieti di avvicinamento alla casa della donna, i braccialetti elettronici, il Codice rosso, anche se utili, non sono stati risolutivi del problema. La nuova legge che inasprisce le sanzioni farà diminuire i femminicidi? È questa la domanda che si pongono giuristi e politici. Le risposte sono contrastanti. Il ministro della Giustizia Nordio definisce la nuova legge “un risultato epocale”. Il ministro della Famiglia Roccella “una novità dirompente”. Ma le opposizioni, pur ammettendo che la legge va nel verso giusto, rilevano che essa non è ancora sufficiente perché manca il “sostegno economico” alle donne in pericolo.

Infatti, dalla nuova legge non potranno derivare maggiori oneri per le finanze pubbliche, mentre sono già previsti solo tre capitoli di spesa per un totale di 636.000 euro l’anno. Invece, dovremmo seguire l’esempio della Spagna, dove i femminicidi sono molto diminuiti, perché grande attenzione viene dedicata ai reati cosiddetti “sentinella”, con forme pressanti di controllo e di protezione e con un grande numero di operatori specializzati, che comportano una spesa annua di 600 milioni di euro.

Contro l’introduzione del reato di femminicidio è stato anche lanciato un appello da parte di 80 docenti universitarie di diritto penale, le quali non ritengono efficace il nuovo reato e credono che altre misure di contrasto e deterrenza debbano essere messe in campo per sradicare alla base la violenza di genere. Esse sollecitano una riflessione che tenga conto della complessità del fenomeno, le cui cause sono radicate nella cultura e nella struttura della nostra società”. In quest’ottica, ritengono che l’introduzione del nuovo reato di femminicidio “assume una valenza meramente simbolica”.

In proposito va rilevato che nei Paesi in cui il reato autonomo esiste i delitti contro le donne non sono diminuiti in quanto l’esistenza del reato in sé non è un deterrente sufficiente per chi intende uccidere. Si potrebbe piuttosto prevedere di introdurre un’aggravante specifica al reato di omicidio già esistente. La verità è che occorrono vere politiche di prevenzione. Il diritto penale viene dopo la commissione di un reato. Invece si procede al contrario: si modifica il codice penale e si fa poco per prevenire i reati. Ma la repressione svincolata da una prevenzione, soprattutto culturale, è inefficace.

La senatrice Giulia Bongiorno rileva che il fenomeno si sta addirittura aggravando e sta coinvolgendo fasce d’età sempre più basse. E aggiunge giustamente che ragazzi sempre più giovani fanno uso eccessivo e distorto dei social, che veicolano messaggi violentissimi, per cui è necessario limitare al minimo l’uso del cellulare. Questa è una proposta da attuare.

Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha annunciato che nelle nuove linee guida per l’Educazione civica sono stati inseriti per la prima volta l’educazione e il rispetto verso le donne. È questa la strada da seguire, quella dell’educazione ai ragazzi che devono essere culturalmente formati da personale specializzato e non possono avere come unica fonte di informazione i cellulari con i loro messaggi illusori, distorti e violenti. E non dobbiamo lasciare solo alle donne tutta la responsabilità dell’educazione sentimentale dei figli, perché anche i padri devono fare la loro parte. Entrambi, poi, devono saper dare l’esempio con i fatti e non soltanto con le parole.

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