Gli open day palestre per i lecchesi di domani

S’avverte nel mondo scolastico lecchese un promettente fervore, un paesaggio ricco di colori che fa da contrappunto al grigiore della politica, sempre più ostetrica di rimpianti del passato e sempre meno proiettata verso gli anni a venire. Vien da dire che l’autunno non è più tempo di funghi, castagne e zucche ma si va configurando come la stagione degli open day. Sono visibili sui muri dell’urbe cartelloni che sponsorizzano le visite degli istituti, dall’infanzia alle superiori. Anglicismo a parte, troppo di moda per mutarlo in un ”porte aperte” che a noi piace assai, siamo davanti a un’intuizione consolidata che permette alle famiglie e ai loro pargoli, maschi e femmine, di scegliersi il cammino a loro più congeniale, quando fino a qualche lustro fa la strada era segnata dal ceto e dal censo, quando non la corporazione familiare o da similvocazioni, del tipo che se uno possedeva la cosiddetta parlantina, lo si vedeva già come un futuro Perry Mason. Tre esercizi d’algebra indovinati e immaginavi già la targhetta d’ingegnere sulla porta.

Ora, in un quadro comunque imperfetto, è più semplice costruirsi un domani nel quale non sei costretto a brancolare nel buio. Io temo soprattutto le folgorazioni dei mestieri “cotti e mangiati” dalla tv per cui un Cracco, scontroso e superbo, diventa una sorta di guru e le ricette, sue e dei suoi compari, un nuovo Vangelo.

Ai genitori, alle prese con visite guidate tra laboratori d’informatica e palestre all’ultimo grido, suggerisco di non perdere quest’occasione che vale molto di più delle chiacchiere al parchetto, se non altro perché consente di toccare con mano i luoghi e di avviare conoscenze e relazioni con “maestri” destinati a trascorrere il maggior tempo della loro giornata con virgulti in crescita.

Il futuro di un territorio lo si costruisce soprattutto se fondato su questo rapporto di fiducia - non di fede - tra la famiglia e l’universo scolastico, segnato dalla giostra del turnover del personale e dalla irrefrenabile tentazione di troppi padri e madri che tendono a rovesciare i ruoli e a salire in cattedra, complici i social, per istruire, instradare, impicciarsi. E non solo in casa propria.

In questo guazzabuglio di compiti e competenze, gli open day non sono la panacea, ma almeno costituiscono un elemento di chiarezza. Siccome “cane vecchio sa”, come dicono in Toscana, provo a mettere in guardia genitori e figli da folgorazioni perché di colpi di fulmine, forieri di amore eterno, ne abbiamo visti spegnersi in quantità industriale: la ragione sociale dell’open day deve essere la possibilità di orientarsi con cognizione di causa e ai docenti di raccontarsi senza filtri e senza pagelle sottobraccio.

Lo stesso principio potrebbe valere per il mondo del lavoro. Pensando alla mia maltrattata professione (vittima dello svilimento della notizia) sono lontani i tempi nei quali schiere di giovani bussavano alla porta della redazione, chiedendo di misurarsi con la scrittura, consiglierei alle aziende di organizzare open day per reclutare giovani leve, siano essi manovali o laureati.

Non sarà il rimedio miracoloso per risolvere la cronica carenza di personale qualificato, ma almeno concorrerebbe a ricucire quel legame, oggi allentato, tra il mondo produttivo e la comunità del territorio.

Non va ovviamente dimenticato il contesto, specie quello demografico perché è inutile costruire grattacieli se non vi sarà mai chi li abita. O, meglio ancora, il boom degli asili nido, finanziati con il PNRR, se le culle piangono, non per i vagiti, ma per la mancanza di neonati. Si capisce allora che senza un umanesimo di ritorno, senza una cultura d’integrazione concreta e vissuta, senza un nuovo patto generazionale e socioeconomico torna inutile progettare cattedrali nel deserto, sebbene ubicate fra monti verdeggianti e valli solcate da corsi d’acqua. Una lezione ardua da apprendere, a Lecco come altrove, perché, cadute le ideologie, vacillanti gli ideali, cominciano a scarseggiare le idee, quelle che dovrebbero riempire i progetti anche di chi ambisce a governare un borgo che fatica a diventare città.

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