Grandi
opere
vanto
e angoscia

In Italia le grandi opere infrastrutturali sono un vanto ed al contempo un’angoscia. La prima autostrada d’Europa è stata la Milano-Laghi del 1924. Attualmente A8 che diventa A9 per Chiasso. Un percorso storicamente gratificante, ma che crea ora nell’ultimo tratto da Como alla dogana una certa sofferenza. Gallerie e viadotti adesso in fase di ristrutturazione ma che mantengono sempre un’aria di precarietà. Per chi entra nella Bella Italia e si aspetta infrastrutture altrettanto belle, il senso di incompiutezza, soprattutto nelle gallerie, lascia l’amaro in bocca. Basti guadare dall’altra parte del confine per capire che la frontiera è un biglietto da visita. Dà identità al Paese e porge il benvenuto. Un messaggio che fatica a passare in Italia. Solo al Brennero il decoro trova la sua collocazione unito all’efficienza. E con questo siamo al tema del giorno. Parlare del ponte di Messina con il ponte Morandi di Genova alle spalle dovrebbe indurre a cautela gli entusiasmi futuristici dei suoi sostenitori. Era il 14 agosto del 2018 quando la sezione centrale del viadotto Polcevera venne giù portando con sé la vita di 43 persone. Un ricordo da tenere vivo anche perché l’accusa nel processo ancora in corso a Genova arriva a chiamare in causa  i vecchi manager degli anni novanta per mancati controlli. È dunque possibile che in un Paese con simili precedenti il ponte sullo Stretto con una campata centrale di 3,3 chilometri, la più lunga del mondo, non susciti diffidenze? Un tema sul quale il Financial Times si è buttato a pesce. Si parte dalle proteste degli abitanti che lamentano gli inevitabili espropri delle proprie case ai disagi che derivano dai lavori in corso.

Ma quello che colpisce è il timore che si stravolga l’ambiente e poi il tutto rimanga un’opera incompiuta. Il Meridione è costellato di strade che si perdono nel nulla, di infrastrutture iniziate a squilli di tromba e poi lasciate nell’incuria e nella desolazione. Il 30 dicembre 2014 crolla il viadotto sulla Palermo-Agrigento. Era stato inaugurato sei giorni prima. In Italia le opere incompiute di interesse nazionale al 2022 sono 372 e solo in Sicilia 136, si evince dalla piattaforma SCP del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. La popolazione lo sa, ne è vittima. Il sindaco di Villa San Giovanni Giusy Caminiti dopo l’approvazione da parte del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) teme che l’opera impatti sulla città dividendola in due parti. Le ansie della popolazione vengono anche dalla mancanza di un’adeguata fase di studi approfonditi sulla struttura geologica e sismica della zona. Recentemente il geologo Carlo Doglioni, presidente fino al febbraio scorso dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha messo in chiaro quali siano i rischi. Il terremoto di Messina del 1908 con magnitudo 7,1 della scala Richter è ancora ben presente nella memoria collettiva. Visto da occhi esterni le titubanze dei cittadini si incrociano con le valutazioni sulla capacità organizzativa di un Paese che tanto eccelle nel piccolo ma bello tanto fatica nelle strutture complesse. La presenza della malavita organizzata è una minaccia costante sui lavori.

La Salerno-Reggio Calabria è stata per decenni un’incompiuta, costellata da indagini per infiltrazioni mafiose ovvero della ’ndrangheta calabrese. Il settore dell’edilizia con i subappalti a cascata si presta su un territorio dove per far applicare la legge i giudici devono essere posti sotto protezione. Pare che a Messina metà dell’acqua potabile vada persa nelle condotte. In tempi di siccitá al Sud i rubinetti asciutti aumentano. Il ponte non è la soluzione ma rende la minaccia della malavita organizzata e i ritardi del Sud una questione nazionale.

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