Vladimir Putin all’angolo di fronte all’accordo tra Donald Trump e Xi Jinping. Per la prima volta, dopo quasi quattro anni di conflitto ucraino, Mosca appare oggi isolata e in difficoltà dal punto di vista diplomatico.
La sua scommessa sullo scontro tra Washington e Pechino - con la conseguente ritirata occidentale da Kiev - sembra oggi perdente. Come lo è stata analogamente quella fatta il 24 febbraio 2022 sulla «guerra lampo» di una settimana in Ucraina. Come sempre accade da decenni, quando un capo del Cremlino non se la passa bene, immancabilmente si registrano esperimenti di missili - armi strategiche che, con a bordo testate nucleari, sono in grado di distruggere mezzo mondo. Persino i golpisti vetero-comunisti contro Michail Gorbaciov fecero in tempo a spararne uno per intimorire la comunità internazionale nell’agosto ‘91.
Il giochetto è ben conosciuto in Occidente. Ecco perché Donald Trump ha invitato il collega russo a concentrarsi su cose ben più importanti, ossia sul come concludere le ostilità in Donbass. Se Cina e India accetteranno di ridurre i loro acquisti di petrolio russo allora saranno veramente mal di pancia seri per il Cremlino, già alle prese con un’economia in recessione, la quale rischia a breve addirittura la stagnazione.
E se la pioggia di «petrodollari» sulle élite moscovite finirà saranno poi dolori per lo stesso Putin, che, a causa della sua ossessione ucraina, è andato contro i più elementari princìpi della geopolitica russa.
In pratica, ha reso il gigante slavo troppo dipendente dalla Cina, dalla sua economia e dalla sua politica estera. Finora Pechino non ha fatto granché per aiutare a trovare una soluzione in Ucraina, ma le basterà dare un giro di vite alle sue importazioni di «oro nero» per incidere sulla crisi in Europa.
Per Xi Jinping l’astronomico interscambio sino-americano e la questione di Taiwan sono più rilevanti che i proficui rapporti con la Russia, vista come un Paese in declino. La speranza ora è che Putin comprenda finalmente che è venuto il momento di deporre le armi. Qualche chilometro quadrato in più di un territorio, distrutto dalle ostilità, non farà la differenza.
Ma lui ragiona ancora come un leader del Ventesimo secolo, mentre il cinese e l’americano sono esponenti del Ventunesimo, in cui la globalizzazione e gli affari sono questioni superiori a quelle territoriali.
Poco, in questa situazione esplosiva, ci ha capito il premier ungherese Orbàn, il «bastian contrario» dei Ventisette, messo in disparte dallo stesso Trump, con cui condivide simili ideologie.
Purtroppo l’Europa è ben dentro la crisi ucraina. Se militarmente è un passo indietro – anche perché per 7 decenni vi è stato «l’ombrello» della Nato a difenderla –per quello che riguarda gli aspetti economico - finanziari e della ricostruzione tutto passerà per le sue cancellerie. E il prossimo negoziato da cui l’Ue sarebbe fuori, secondo Orbàn? Comunque andrà i Ventisette – con le centinaia di miliardi, dimenticate da Putin nei loro forzieri – lo influenzeranno.
Il loro compito strategico sarà a breve termine di favorire una pace giusta in Ucraina e di recuperare nel lungo periodo la Russia all’Europa dopo le scommesse perse da Putin.
In passato l’ucraino Zelensky ha invitato Orbàn a non esagerare. Kiev e Budapest hanno questioni aperte per la presenza della minoranza magiara in Ucraina occidentale e, quando hanno litigato, i droni hanno bombardato gli oleodotti russi con il petrolio diretto verso il Danubio.
Come Putin è prigioniero del sogno della «grande Russia», Orbàn non dimentica la «grande Ungheria».
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