I pullman ai Resinelli: se i conti non tornano

Uno vale uno, diceva qualche tempo fa un ex comico genovese. E fin qui, nulla di strano: puro e semplice egualitarismo, piatti della bilancia che si livellano, utopia gratuita e molto redditizia con la quale condire l’insipienza dello Stato in tante periferie depresse del Paese. Ma, e qui sta il punto, che si fa quando l’uno resta da solo contro tutti? La libertà dell’individuo finisce dove inizia quella altrui, proclamava la vulgata illuminista. E se l’uno, il singolo – diciamo, la minoranza - è circondato e stretto dalla morsa delle libertà altrui? Qual è il punto in cui il suo diritto cessa di essere tale e diventa orpello rinunciabile, veto paralizzante, grattacapo, zanzara che ronza attorno all’orecchio nella calura estiva? Quale delle due dittature risulta meno insopportabile, tra quella dell’uno e quella dei tanti?

E’ più o meno il senso del botta e risposta ospitato dal nostro giornale questa settimana. Il tema è quello degli agognati bus verso i Piani Resinelli, attico tanto amato dai lecchesi, ma separato da Ballabio da un dislivello di seicento metri e un diadema di quattordici tornanti. Il direttore di Linee Lecco - società municipalizzata che gestisce il servizio trasporti tra le mille incognite di trasferimenti regionali e statali sicuri come folate di vento e dentro un bilancio che senza l’appalto dei parcheggi non sopravvivrebbe un giorno - ha chiaramente detto che la misura è colma. Da ottobre a fine maggio, così ha parlato in municipio a Lecco, le corse verso i Resinelli hanno contato in media la bellezza di un passeggero a bus. Forse meno. Quindi, siccome le palanche non crescono sugli alberi, tanti saluti al servizio bus fuori dall’estate. Il giorno successivo, il sindaco di Ballabio non le ha mandate a dire a Linee Lecco, al sindaco Gattinoni (primo rappresentante dell’unico azionista della società, il Comune) e a tutti quelli che pensano – questo il senso dell’affondo - di isolare le comunità montane. Ora, a parte il fatto che i Resinelli di comunità hanno ben poco, che l’unica popolazione che possono vantare è l’esercito di seconde case dei lecchesi, e che persino la prefettura, dieci anni fa, si era resa conto della follia di infilarci frotte di migranti richiedenti asilo in periodi dell’anno in cui dal Belvedere non si vede nemmeno il lago. Al di là di questo, la tirata d’orecchie può pure avere un senso. Forse che le aiuole fiorite davanti al Vallo di Lecco valgono di più della garanzia di un servizio pubblico? E, ammesso e non concesso che sia così, qual è l’unità di misura che parametra il valore di una spesa pubblica? I mille occhi che si posano sulle ortensie o la sporadica, estemporanea esigenza di un villeggiante rimasto a piedi?

Insomma, il vero nodo non sono i bus per i Resinelli, ma la domanda che nessun amministratore oggi osa affrontare: come garantire servizi pubblici in un mondo dove la maggioranza è diventata minoranza moltiplicata?

Il lato drammatico della questione è che non esiste risposta. O meglio, che le nostre pubbliche amministrazioni, le società partecipate, lo Stato stesso, sono figlie di pratiche consolidate che considerano irrisolvibile il dilemma. Che non esiste un approccio moderno al problema di fondo della nostra società: si è aperto il vaso di Pandora dei singoli interessi, dei singoli bisogni, delle singole fragilità. La maggioranza coesa delle grandi chiese del Novecento è diventata uno stuolo di frammentarie minoranze, tutte lanciate all’inseguimento di servizi specifici e peculiari. Scuole, servizi sanitari, trasporti: è certamente lecito ribadire che, in una società complessa, non può più essere la maggioranza a dettare le colonne d’Ercole dell’azione di ciò che definiamo pubblico.

Ma a questo punto correrebbe l’obbligo di ripensare al concetto di “pubblico”, aprire le porte a una sussidiarietà ancora in fase embrionale, smetterla di demonizzare il privato (quello che sa integrarsi e dialogare con il servizio pubblico) e cessare pure di regalare fiches al privato (quello che invece vive e sopravvive delle sole sacche di inefficienza del pubblico). E su su, risalendo a salmone la cascata delle contraddizioni del Paese fino ai grandi interessi economici, ai numeri tremendi dell’evasione fiscale, alle assurde cascate di sprechi statali.

Ma forse questo è davvero volare troppo in alto. Conviene scendere, abbassarsi di tono, lanciare una moneta e provare a decidere se la famosa corriera blu, con la sua scocca scintillante e quell’unico turista tedesco a godersi da solo il panorama al finestrino, debba o meno risalire i tornanti dei Resinelli in primavera. Testa o croce.

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