Esiste un metodo scientifico per trovare una notizia davvero importante. E’ quella della quale non parla nessuno, anche perché noi giornalistonzoli siamo troppo concentrati a occuparci di questioni fondamentali quali l’imminente ritorno del fascismo, i comunisti che vogliono rubarci la prima casa e l’educazione sessuale dei nostri figli a scuola che, signora mia, non è più quella di una volta.
Una di queste l’ha riportata, di fatto, solo “Repubblica”, o quasi, raccontando l’apertura di un’inchiesta da parte della Procura di Milano, con l’accusa di omicidio plurimo aggravato dai motivi abietti e dalla crudeltà nei confronti di ignoti, almeno cinque dei quali italiani, ma probabilmente molti di più, che tra il 1992 e il 1996 hanno partecipato ai cosiddetti “Safari di Sarajevo”. In effetti, di questa cosa se ne è scritto e chiacchierato per anni, prima che la notizia si inabissasse in una delle foibe della nostra memoria e della nostra vergogna collettiva, e bene ha fatto lo scrittore Ezio Gavazzeni a riprendere in mano la vicenda allucinante di questi “turisti” che provenivano da mezzo mondo, Italia compresa, con partenza da Milano, Torino, Veneto, Friuli e arrivo a Trieste, poi il volo per Belgrado e poi ancora l’elicottero o la jeep fino a destinazione. Tutti maschi, quarantenni-cinquantenni con la passione delle armi, spesso protetti da una copertura umanitaria, visto che si spacciavano per volontari che portavano aiuti alle popolazioni affamate dalla guerra civile e che invece si posizionavano sulle colline circostanti la città assediata e sparavano agli abitanti. I cecchini del weekend. I cacciatori di civili. Gli appassionati del tiro all’essere umano. Tutta gente ovviamente molto facoltosa - uno dei presunti identificati sarebbe un milanese proprietario di una clinica privata specializzata in interventi estetici: un colpo di botox, un colpo di carabina - che venivano accompagnati da elementi dell’esercito serbo e dei servizi segreti alle postazioni di tiro. E da lì si iniziava a sparare, con grande godimento, si immagina, ai civili inermi. Meglio se bambini. Quelli facevano più punteggio, divertivano di più.
Come intuibile, l’inchiesta avviata in Italia non sta ricevendo alcuna collaborazione dalla Serbia, dove viene respinta in toto e bollata come una leggenda metropolitana, una vulgata propagandistica dell’Occidente, una sceneggiatura da film, un po’ come quella dei tornei di roulette russa nella Saigon marcia e purulenta de “Il cacciatore”. O forse, più che quella del monumentale capolavoro di Cimino, una trama da serie coreana, uno “Squid Game” balcanico con dei milionari che pagano per godersi lo sgozzamento reciproco dei reietti dell’umanità, disposti a trasformarsi a loro volta in mostri pur di sopravvivere, rivisitazione postmoderna dei giochi del Colosseo. Oppure, tornando al Novecento profondo, il nazista braccio destro di Hitler che ogni giorno, come racconta Malaparte nel crudele e spietato “Kaputt”, andava ai confini del Ghetto di Varsavia, sparava a quattro o cinque ebrei e poi se ne tornava a palazzo a bersi un tea.
Bisogna che ci arrendiamo. La storia, la storia della nostra civiltà – ma quale civiltà? - ribolle e gorgoglia di esempi di questo tenore. Di gente che uccide senza motivo. Uccide per caso. Uccide per noia. Uccide per gioco. Per quanto paradossale possa apparire, questi sono peggio dei nazisti, dei comunisti e di tutti gli altri sterminatori prodotti negli ultimi tremila anni perché quelli almeno avevano un “motivo” - mostruoso, sconvolgente, demoniaco - almeno una finalità, un credo, una fede, un movente. Questi no. Questi andavano a farsi un weekend di cacciagione umana, abbattendo gente che non odiavano, della quale non dovevano vendicarsi, che gli era del tutto indifferente - è questa la cosa più inaccettabile - e poi se ne tornavano bel belli nelle loro città, alle loro professioni, alle loro relazioni, ai loro stretching, alle loro famiglie, ai loro figli, alle loro mogli, alle loro amanti. Come se nulla fosse successo. Come se tutto questo fosse assolutamente normale.
Come è possibile che questa cosa sia accaduta? Come è possibile che un pezzo della nostra società, un pezzo di noi, nasconda questo schifo sotto il tappeto delle apparenze? Come è possibile che ci sia chi voglia essere Dio, diventare Dio, colui che toglie la vita a suo piacimento? Che cosa c’è dentro, laggiù in fondo, a queste persone? Cosa c’è dentro di noi? Perché siamo gli unici esseri sul pianeta terra che ammazzano senza motivo? Perché questo non accade in nessun’altra specie vivente? Qualsiasi animale, ma davvero qualsiasi, uccide solo per fame, per propria difesa, del branco, dei cuccioli o del territorio. Mai per niente. Mai per divertimento. Mai per gioco. Mai. Perché noi invece sì? Cosa c’è che non va, in noi?
E’ un mistero insolubile, che hanno intuito in tanti e sul quale tanti si sono esercitati. E fra i tanti, vale la pena di ricordare uno scrittore formidabile come Conrad, quando racconta il viaggio sul fiume Congo del marinaio Charles Marlow che, pagina dopo pagina, si trasforma prima nella ricerca spasmodica del misterioso agente della Compagnia d’avorio Kurtz e poi nell’inabissamento nei meandri diabolici e sanguinari della psiche umana, un precipitare nell’oscurità senza Dio né ragione del “Cuore di tenebra” degli uomini, luogo dove tutto è permesso, dove tutto è spaventoso e dove tutto è incomprensibile. Un romanzo dal messaggio devastante, che ha ispirato a Ford Coppola un’altra opera d’arte barocca, lussureggiante e morbosa come “Apocalypse Now”, nella quale la guerra del Vietnam è un mero pretesto per raccontare invece una discesa dantesca agli inferi, sino alla follia del colonnello Kurtz che, proprio grazie alla follia, capisce cosa c’è alla radice degli esseri umani e lo rivela nell’urlo finale, quello che ha reso celebri il romanzo e il film e che spiega alla perfezione anche i Safari di Sarajevo: “L’orrore! L’orrore!”.
@DiegoMinonzio
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