Intelligenza artificiale e mondo che cambia

Quando l’Intelligenza artificiale ha fatto irruzione nel villaggio globale ho temuto che fosse una punizione per chi come me è ostile e allergico alla tecnologia, persino alla Lettera 22. Insomma, il bisturi nelle mani del maniscalco. Ma, siccome l’età non mi ha tolto la curiosità, né annebbiato lo sguardo sul futuro, ho via via scoperto che l’IA è una formidabile opportunità, un enorme vaso nel quale far fiorire sogni e ambizioni delle generazioni a venire.

Non mi sfugge, ovviamente, che in questi chiari di luna lo sconforto è dietro l’angolo e l’angoscia, persino l’impotenza, le incontri a ogni crocevia dell’esistenza. Per tagliare la testa al toro e non volendo abbeverarmi all’aia dei gallinacei che nulla sanno e tutto dicono, ho chiesto alla stessa intelligenza artificiale di spiegarmi l’essenza. Tra il profluvio di parole apparse sullo schermo, le più efficaci mi sembrano le seguenti: “è un insieme di modelli matematici e algoritmi che permettono a una macchina di svolgere compiti che, fino a poco tempo fa, richiedevano l’intelligenza di un essere umano”.

In estrema sintesi, mi vien da pensare che in poche righe sia racchiuso il destino che ci attende dietro l’angolo: quello di diventare “spettatori paganti”, secondo la felice intuizione di Maria Anghileri, imprenditrice lecchese e presidente nazionale dei Giovani di Confindustria. Un’affermazione non spesa in confessionale, ma davanti alla platea dell’Italia che produce. Va da sé, aggiungo io, che prima o poi, nei teatri del pianeta calerà il sipario. A nostre spese. Per quanto ci riguarda più da vicino, terra nostra intendo, l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro sarà profondo, più rapido e forse più irreversibile del tanto vituperato Green deal. Giovedì scorso, per esempio, il colosso svizzero dell’alimentare Nestlé ha annunciato il taglio di 16mila posti di lavoro: “Il mondo sta cambiando”, hanno spiegato con laconico cinismo i vertici. Fai due più due e tocchi ferro, siamo a Lecco, immaginando il destino delle nostre fabbriche.Ed è un sentirsi come le foglie sugli alberi d’autunno. Dall’intelligenza artificiale a Giuseppe Ungaretti che racconta lo stato d’animo di chi s’avvia sui sentieri tortuosi e scivolosi delle sfide del domani.

Mi sto attrezzando per capirne di più e pur sapendo di non sapere sono certo che l’intelligenza artificiale potrà velocizzare e semplificare i processi, ma non sarà in grado di sostituire l’occhio esercitato di un contadino che sa quando va raccolta l’uva, la mano di un capomastro che con un colpo di cazzuola raddrizza un muro o il sorriso di un commerciante che, con un occhio alla cassa e l’altro al cliente, riesce a vendere ghiaccio agli eschimesi. Quelle che oggi si chiamano “soft skills”, un tempo a Lecco si riassumevano in un’espressione vernacolare ed eloquente: “vess bon de fass dent”.

Siccome mi rendo conto di muovermi a livello dei marciapiedi mi sono fatto dettare, sempre dall’intelligenza artificiale, due citazioni contrapposte, anche per la natura, la storia, lo spessore dei predicatori. Il compianto genio inglese Stephen Hawking dalla sua sedia a rotelle certificava che “lo sviluppo dell’intelligenza artificiale completa potrebbe significare la fine della razza umana”. Di contro, uno degli imprenditori spregiudicati del nostro tempo, non altri che l’inventore dei social Mark Zuckenberg, ha sentenziato che l’intelligenza artificiale “ha il potenziale per rendere il mondo un posto migliore per tutti”.

Chi vivrà, vedrà. Così me la cavo con un detto nazionalpopolare. In una prossima occasione vi renderò partecipi di uno studio elaborato dall’intelligenza artificiale su Matteo Renzi, per farvi capire come mai contando come il due di picche quando la briscola è quadri sia nettamente in cima alla classifica dei politici più presenti nei talk show e sulla stampa. Vi anticipo: “una copia di Tony Blair sciacquata in Arno”.

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