Mentre le grandi potenze si disputano le sorti del pianeta e le big tech signoreggiano incontrastate in un capitalismo senza regole, la politica italiana seguita a baloccarsi nell’illusione che il mondo possa seguire le nostre vicende che per la stampa straniera risultano, di contro, irrilevanti.
In realtà, il rispetto dei nostri alleati nasce esclusivamente dall’importanza strategica che il nostro paese vanta nello scacchiere geopolitico: essere un avanposto nel Mediterraneo, ci ha consentito di lucrare una rendita di posizione sulla quale abbiamo storicamente costruito le nostre fortune. In verità, il mondo guarda all’Italia con cautela e circospezione dato che lo spettro politico si compone di forze che coltivano riferimenti internazionali alquanto contrastanti. Come abbiamo già scritto in altre occasioni, le tre forze di governo vantano rapporti privilegiati con Usa (FdI), Russia (Lega) e Ue (Forza Italia). Paradossalmente, questo “eclettismo” in politica estera potrebbe perfino giovare al nostro paese, come è più volte accaduto in passato.
In proposito, occorre rammentare che gli “italiani amici di tutti” rappresenta un’immagine cara alla vecchia Democrazia Cristiana che non esitava a flirtare con il mondo arabo, che non si peritava di avere buoni rapporti con Israele ma anche con l’Olp di Arafat, che non aveva remore nel coltivare rapporti perfino con l’Urss. Chi si scandalizza degli affari, palesi e occulti, che intercorrono oggi con Putin, dovrebbe ricordarsi le intense relazioni commerciali intercorse in passato tra il nostro paese e l’Unione sovietica: da una parte, noi esportavamo prodotti chimici, abbigliamento e macchinari; dall’altra, importavamo dall’Urss materie prime, combustibili fossili (gas naturale) e derivati del petrolio.
Risulta, pertanto, ipocrita fingere di ignorare la vera natura del capitalismo, animale onnivoro che si alimenta di ogni cosa sia in grado di creare ricchezza, compresa la guerra che risulta funzionale al profitto tanto quanto la pace. Bisogna riconoscere che in tutto l’Occidente la politica non ha fatto nulla per arginare questa tendenza del capitalismo a legittimare ogni devianza: l’importante è che fosse idonea a generare denaro. In verità, sarebbe giusto ricordare che le forze conservatrici, di cultura liberista, ritengono il mercato un sistema intangibile che non ha bisogno degli interventi correttivi dello Stato. Conseguentemente, per la destra “mercatista” il problema non sussiste: il capitalismo non va toccato perché, come diceva Adam Smith, c’è sempre una “mano invisibile” che regola ogni cosa. Di contro, per la sinistra il tema delle distorsioni del capitalismo rappresenta un nodo gordiano sul quale continuano a consumarsi le contrapposizioni più efferate. Per vocazione, la sinistra vanta una cultura riformatrice che risulta complicato tradurre in azione politica.
La verità è che il mercato globale ha decretato il fallimento delle politiche keynesiane che risultano efficaci all’interno degli Stati nazionali, dotati di sovranità monetaria e fiscale. Potrà sembrare paradossale ma è stata la globalizzazione a vanificare l’efficacia delle ricette interventiste per cui, con una battuta, potremmo dire che lord John Maynard Keynes sia stato il vero precursore del sovranismo: nulla di più beffardo e di insultante per una sinistra che, dopo avere sepolto Marx tra le macerie dello stalinismo, si è vista costretta dalla Storia a ripiegare sul keynesismo. Guardando al nostro paese, dopo la caduta del comunismo e la fine del Pci, la sinistra italiana è diventato un campo di Agramante che ha reso evanescente la sua identità e perfino il senso del suo ruolo. Non esiste una sola sinistra: ne esistono molteplici. Esiste, infatti, una sinistra europeista e una populista; una sinistra radicale e una riformista, una sinistra pro-Israele e una pro-Pal; una sinistra marxista post-operaista e una sinistra interclassista; una sinistra terzomondista e una sinistra globalista; una sinistra ambientalista e una sinistra produttivista; una sinistra movimentista e una sinistra istituzionale; una sinistra cattolica e una laica. A questo confuso coacervo di sensibilità e di culture differenti, che rende complicato il varo di una politica comune, occorre aggiungere gli immancabili personalismi che finiscono per vanificare l’ipotesi di una leadership forte e autorevole da contrapporre a Giorgia Meloni. Malgrado le differenze identitarie che intercorrono tra le forze di governo, ancora oggi la premier può contare su una coesione che la sinistra stenta tuttora a realizzare per tutte quelle contraddizioni che non sarà facile conciliare.
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