
Nel 2014, il compianto Sergio Marchionne (un nome di valore assoluto che le chiacchiere della fogna social tentano da anni di derubricare a narcisista tagliatore di teste) si presentò al Forum Ambrosetti parafrasando una storiella di Charles Osgood, anchorman della CBS americana. Si racconta di quattro persone, chiamate Ognuno, Qualcuno, Ciascuno e Nessuno, e di un importante lavoro. «Ognuno era sicuro che Qualcuno lo avrebbe fatto. Ciascuno poteva farlo, ma Nessuno lo fece”, e via discorrendo con i giochi di parole, finché “Ognuno incolpò Qualcuno perché Nessuno aveva fatto ciò che Ciascuno avrebbe potuto fare».
Al di là della gradevolezza della storiella, Marchionne intendeva rivolgere una sonora pernacchia alla politica. Non a tutta, per carità, ma certamente a quella politica che, soprattutto nei forum (o nei tanto abusati tavoli di confronto), parla parla parla al solo fine di rendere manifesto ciò che è già sotto gli occhi di tutti — le necessità — e confondere invece i piani riguardo a ciò che nessuno sa offrire: le soluzioni ai problemi.
Stacco. Storia odierna lecchese. Pochi giorni fa è arrivata la notizia dell’ennesimo commissariamento ad hoc, consegnato a uno dei temi chiave del nostro territorio: il nuovo ponte tra Paderno e Calusco. L’obiettivo è quello di ridurre i tempi di approvazione dei progetti, l’assegnazione dei lavori e il completamento delle opere. Perché, nel caso non sia chiaro, il ritardo rispetto alla scadenza del 2030 (data fissata da RFI per la vita utile dell’attuale ponte San Michele) è abissale. La decisione fa capo a un emendamento al decreto legge approvato dalla Camera. Insomma, viene da Roma. Su richiesta del Pirellone.
L’elenco lecchese, a questo punto, si infittisce. Nelle sapienti mani di Luigi Valerio Sant’Andrea (poi dicono che non bisogna votarsi ai santi), amministratore delegato della società Infrastrutture Milano-Cortina 2026 S.p.A., ci sono la variante della Lecco-Bergamo, la ciclabile Pradello-Abbadia, la soppressione dei passaggi a livello della SS 38 in Valle e la messa in sicurezza del tratto brianzolo di Superstrada. Ravvisare quale sia la stretta e inestricabile connessione che lega opere pubbliche progettate vent’anni fa al destino delle gare di bob a due di Milano-Cortina è cosa ardua. Sta di fatto che gli annunci di commissariamento di opere ed enti sono ormai all’ordine del giorno, anche e soprattutto nel Paese, tanto più nel Sud Italia, dove ci sono regioni (leggasi Calabria) in cui non è nemmeno definita la quota totale di commissariamenti, e dove vengono appaltati a deus ex machina esterni perfino interi settori, come la Sanità.
Al di là dei casi estremi, però, il fatto che oggi la politica ricorra con tale leggerezza alla figura del commissario è ovviamente un pessimo segno dei tempi. Un duplice disimpegno, tecnico e morale, che la dice lunga su quanto le istituzioni (non tutte, ma parecchie) abbiano ben poco margine di manovra, tanto per assumersi l’onere di procedure complesse quanto per caricarsi di responsabilità politiche forse troppo gravose di fronte agli elettori.
Alla luce di tutto questo, peraltro, verrebbe da chiedersi a cosa possa servire la tanto decantata autonomia. Decenni di battaglie politiche per poi calare l’asso di un tecnico da Roma che tolga le castagne dal fuoco?
Chi ama la politica, quella che oggi fatica a carburare volti e classi dirigenti credibili, ricorda certamente la cappa plumbea che fino a qualche anno fa avvolgeva la parola “commissariamento”. Quando andava bene, come nel caso di qualche segreteria provinciale di partito un po’ troppo litigiosa (l’ultimo esempio locale è stato Paolo Grimoldi, incaricato dalla Lega di mediare dopo il clamoroso pareggio tra Flavio Nogara e Marco Benedetti), era considerata un’extrema ratio. Un congelamento dello status quo, tollerato e tollerabile, ma non certo un’occasione per rilanciare attività o porsi obiettivi a lungo termine. Quando andava male, era un trauma. Un’onta politica che un samurai non avrebbe dubitato di lavare con un onorevole harakiri.E non è un caso che, sempre per citare Lecco, Antonella Faggi parlasse apertamente della sua candidatura alle politiche del 2018 come di una rivalsa morale verso la tremenda ferita personale del commissariamento del Comune, datato 2009.
I numeri odierni, al contrario, parlano invece di una vera e propria escalation di commissariamenti. Le scelte di disimpegno politico riguardano oggi sempre più partite, e sempre più decisive.
Tutto legittimo, è ovvio. Ma almeno partiti e opinionisti di parte ci risparmino la retorica della bassa affluenza, del dovere civico del voto (pure quando le regole del gioco prevedono di starsene a casa, come nei referendum), dell’esercizio di democrazia che nutre in realtà un corpaccione sgangherato e malridotto, che invoca l’aiuto da casa come un qualunque concorrente di “Chi vuol essere milionario”.
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