La strategia per evitare l’escalation nucleare

L’Europa scende in campo nel tentativo disperato di evitare l’irreparabile in Medio Oriente. A Ginevra i ministri degli Esteri di Regno Unito, Germania, Francia e dell’Ue hanno discusso con il collega di Teheran un piano credibile di rapida applicazione per fermare le ostilità tra Iran e Israele.

Il rischio che il conflitto in corso possa degenerare in atomico è purtroppo reale. Dopo aver messo fuori uso gran parte delle infrastrutture legate al programma nucleare degli ayatollah, l’israeliano Netanyahu si trova ora davanti al dilemma su come eliminare siti sottoterra o dentro alle montagne.

Solo gli Stati Uniti hanno in dotazione la superbomba capace di distruggere tali impianti. Ecco la ragione per cui Donald Trump si è preso due settimane per decidere.

Gerusalemme potrebbe anche procedere con azioni alternative terrestri paracadutando unità speciali, ma il pericolo di un fallimento di operazioni di quel tipo è alto. Il raid Usa non riuscito nel 1980 - per liberare gli ostaggi prigionieri nell’ambasciata americana di Teheran - è un precedente da tener conto. Non si dimentichi che costò la Casa bianca all’allora presidente Carter.

“Non avvicinatevi alla centrale di Bushehr”, ha implorato il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica Grossi. Laggiù anche una sola bomba può potenzialmente provocare il disastro. Finora, è stato confermato dall’Aiea, i combattimenti non hanno causato fughe di radiazioni.

Ma secondo gli israeliani gli iraniani potrebbero avere la bomba in poco tempo, disponendo già di quantità di uranio arricchito al 60%.

L’utilizzo inatteso di missili ipersonici, da parte di Teheran in questi giorni, fa suonare ulteriormente l’allarme a Gerusalemme.

Tali vettori - saltati fuori chissà da dove (anche la Corea del Nord ne ha sparato uno nelle scorse settimane) - sono in grado di superare l’“Iron Dome”, il sistema di difesa israeliano. E se su uno di questi vi fosse montata una testata nucleare?

Il secco “no” di Netanyahu alla mediazione del russo Putin può essere spiegato anche così.

Il Cremlino appare preso alla sprovvista: se cadesse il regime degli ayatollah si troverebbe senza un Paese apertamente schierato sul fronte anti-occidentale, l’ultimo alleato in Medio oriente. Una bella ridimensionata alle ambizioni imperiali!

Da poche ore è iniziato il “countdown” (conto alla rovescia) di Donald Trump. Il presidente Usa sta sfogliando la margherita: intervenire oppure “no” affianco di Israele? Si è così aperta questa “finestra” di due settimane in cui la diplomazia internazionale cercherà l’impossibile.

A parte il reciproco scambio di accuse e di consueti insulti colpisce che l’ambasciatore israeliano alla legazione Onu di Ginevra abbia invitato gli europei a cominciare a “smontare l’arsenale dei missili balistici (iraniani)”. Come dire: iniziate da lì! Sul programma nucleare degli ayatollah, ormai tutti sanno tutto da 20 anni. E’ inutile ripetersi!

L’Europa sta proponendo a Teheran un “negoziato globale”, ormai non più rinviabile, sui capitoli più scomodi. Si aggiunga poi che gli ayatollah hanno anche appoggiato forze destabilizzanti a Gaza, in Libano, in Siria. In Yemen i filo-iraniani Houthi hanno sparato contro le navi occidentali in transito nel mar Rosso, provocando enormi danni al commercio internazionale. Presto Teheran sarà messa davanti alla scelta tra accettare una proposta concreta, mediata dalla saggia “Vecchia” Europa, o diventare un poligono per le superbombe di Trump con il rischio di scoppi nucleari sul proprio territorio. Il tempo delle “meline” sta finendo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA